CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET

 

 DEL DESIGN CINETICO E POETICO
 Intervista a Sergio Giobbi


A partire dagli anni '70 Sergio Giobbi si dedica sia all'attività didattica – fino al 1985 insieme al maestro e amico Leonardo Savioli – che alla professione. Dopo un periodo di collaborazioni in campo architettonico – ancora nello staff dello Studio Savioli –, l'architetto fiorentino concentrerà nel design le esperienze degli ultimi trenta anni, incentrando la propria ricerca sulla componibilità di programmi – intesi come sistemi di elementi modulari – e sul movimento – per una migliore fruibilità dell'oggetto d'arredo. Ha collaborato con ditte come Busnelli G.I. – suoi i fortunati Boboli, Monopoli, Biplano e il recente Airone realizzati con Alessandro Mazzoni delle Stelle –, Abet Laminati, Bontempi Casa – per la quale ha presentato al Salone di Milano 2005 la seduta pieghevole Yes –, Giovannetti, Origlia – ancora sua l'interessante collezione Bonita di quest'anno –, Segis, Steel Line, Toncelli, Tre D Italia, Zani Cucine e Casprini – per la quale ha creato, ultimo nato, lo sgabello King, presentato a Colonia 2006.

Partiamo con un breve excursus dei tuoi trent'anni di attività.
Mi sono laureato nella Facoltà di Architettura di Firenze e sono rimasto in facoltà per 15 anni come assistente di Leonardo Savioli, titolare della cattedra di Arredamento. Un'esperienza interessante in primo luogo per il contatto con questo finissimo architetto che è stato il mio maestro, quindi per il rapporto stimolante con gli studenti. Per la Facoltà di Architettura di Firenze poi si è trattato di un periodo molto creativo e proficuo – ammetto che, ovviamente, si tratta di un giudizio di parte...
Un'idea, un profumo di quegli anni '70 si può però ancora avvertire nelle pubblicazioni inerenti ai lavori di quel periodo. Ad esempio qualche tempo fa, sfogliando Firenze. La città sognata di M. Conti e A. Scanzani – un libro che raccoglie la produzione progettuale non realizzata dall'antichità ad oggi del capoluogo toscano – ho ritrovato alcuni progetti elaborati insieme a miei studenti. Trovo che siano ancora interessanti, insaporiti com'erano dal sale dell'utopia; quello sguardo "oltre" che ha caratterizzato un decennio in cui, occorre ammetterlo, dalla Facoltà uscivano progetti di grande qualità e intensità. Utopia e sogno hanno caratterizzato il mio imprinting, il mio atteggiamento nei confronti del progetto e ancora oggi, forse, non sono riuscito a svilupparne appieno nel lavoro tutte le conseguenze...
Oltre che di architettura, mi sono comunque subito occupato anche di design, perché mi riconosco un animo da bricoleur che ha avuto nel tatto un intenso serbatoio di esperienza e conoscenza. Fin dall'infanzia, trascorsa nella zona industriale di Larderello, tra cantieri ed officine, mi sono appassionato a tutto ciò che è "costruzione".
Uno dei primi contatti che ho avuto è con il designer statunitense Ted Waddell, che aveva lo studio a Firenze. In quel periodo collaborai anch'io alla realizzazione del famoso 714, il tavolo in acciaio e cristallo realizzato per Cassina. Poi ho lavorato in uno studio con alcuni miei colleghi fra i quali Giovanni Corradetti e Patrizia Innocenti. In seguito aprii uno studio mio, pur continuando ad avere scambi con altri professionisti.
Interessante fu l'esperienza con i giovani architetti Antonio Bastreghi, Giorgio Esposito e Gianni Mannocci, coi quali fondammo l'Arcibottega, un laboratorio in cui si creavano oggetti in ceramica molto originali. A questa esperienza partecipò anche l'amico architetto Dante Bandini.
Qualche anno dopo entrò nel mio studio, come collaboratore, un altro amico ed ex compagno di Liceo, Giampaolo Lodi, eccellente disegnatore, che aveva già fatto qualche esperienza di design e che ancora oggi, mi aiuta talvolta a scegliere e perfezionare delle idee. Fra gli ultimi giovani collaboratori mi piace ricordare gli architetti Alberto Fillini e Riccardo Fanucci, da ognuno di loro ho imparato qualcosa.
Tornando agli inizi, ancora prima della Laurea ho avuto contatti con una serie di aziende interessanti come ad esempio la Metalmobili, per la quale realizzai nel 1970 il mio primo progetto: Lem, un monoblocco da soggiorno che comprendeva tavolo, sedute e contenitori.
Questa azienda svolgeva quasi tutto il processo produttivo internamente, sia per la parte legno che per la parte metallo, compreso addirittura l'impianto di cromatura, possedeva inoltre un reparto per lo stampaggio del poliuretano espanso. Tutto era a "portata di mano" e in breve, ho potuto acquisire un'esperienza diretta e dettagliata di molti tipi lavorazioni.
Da allora ho avuto esperienze in vari settori, realizzando oggetti d'uso, tavoli, sedie, sistemi di seduta, letti, mobili da bagno, lumi, cucine ecc., passando di tipologia in tipologia, crescendo man mano professionalmente. Ho collaborato da metà degli anni '70 fino agli anni '90 con Toncelli, realizzando varie cucine di successo tra cui Douglas, Tholos ecc., ma la prima che ha superato il concetto stretto di cucina per porsi come un vero sistema componibile, dotata di grandi possibilità di composizioni personalizzate, è stata Kaleidos.
E ogni volta è stata quasi una "rinascita". Il design è un'attività in cui l'esperienza conta tantissimo, quindi più si riesce ad estendere la propria attività e più si viene a contatto con tecnologie, problematiche e nuovi espedienti risolutivi da inventare.

Puoi vantare un rapporto continuativo sia con aziende lombarde che toscane. Cosa puoi dirmi in proposito? Sono esperienze confrontabili, come cambia, se cambia, il rapporto quando l'azienda è toscana?
Forse, se esistono, si tratta di differenze statistiche. Nella realtà, poi, si trovano peculiarità aziendali tipiche "toscane" anche nelle Marche, in Lombardia o in Piemonte, mentre qui in Toscana esistono aziende affini a quelle del Nord. Come tendenza generale comunque l'azienda toscana non esplicita marcatamente le proprie qualità offrendo una "facciata" di concretezza forse fin troppo compiaciuta. Ciò induce spesso chi non ha una frequentazione approfondita con esse a sottovalutarle. Ad esempio nella realizzazione dei prototipi credo che le aziende toscane – magari anche se prive di un reparto specifico – possono comunque vantare individualità in grado di realizzare modelli che non hanno nulla da invidiare a quelle del Nord. Anzi vi si legge un'intelligenza attiva e approfondita tradotta in misura, precisione e intuizione che, a volte, in contesti assai più paludati viene a mancare...

Dagli anni '70 come si è evoluta la professione di designer?
Prima segnalavo quanto sia stato fruttuoso per la mia attività aver conosciuto diverse lavorazioni quasi contemporaneamente. Oggi la questione tecnica è divenuta cruciale: idee e tecnologie vengono superate a enorme velocità. Quando ho cominciato – parlo del design diffuso per il vasto pubblico realizzato negli anni '70 – progettare significava, essenzialmente, definire la forma di un oggetto e non molto di più. La questione tecnica si limitava ad opzioni consolidate, assai di rado si utilizzavano processi produttivi tecnologicamente avanzati e, praticamente, quando il prodotto dimostrava una sua piacevolezza lo si metteva in produzione.
Oggi non dico che accada il contrario, ma il processo è diventato assai più complesso, "mediato" ed eterogeneo. Voglio fare un esempio. Quando io disegnavo una sedia all'inizio della mia carriera, questa poteva essere realizzata perlopiù con tecnologie elementari: in legno o in metallo e legno. Tra progetto, modifiche successive e prototipo forse non si superavano due mesi per arrivare alla produzione in serie e alla messa sul mercato. Oggi il coinvolgimento di tecnologie avanzate comporta anche due o tre anni per la definizione produttiva di tutti i dettagli. Non di rado il problema è riuscire a trovare l'azienda in grado di realizzare quel particolare costruttivo.
Quando si deve affrontare nello specifico la soluzione, questa può diventare difficile industrialmente o troppo costosa, ecc…, occorre quindi possedere una soglia minima di cultura tecnologico-industriale abbastanza alta. E oggi, per un giovane che inizia, credo sia abbastanza problematico questo lavoro se non ha alle spalle una scuola molto seria o la pratica presso uno studio ben organizzato...

Come contraltare all'inasprirsi della questione tecnica potremmo dire che per molti designer la vita professionale tende fortemente a specializzarsi?
Il fenomeno esiste e certamente ha i suoi vantaggi perché, come accennavo prima, cambiare settore può equivalere a rivoluzionare in parte l'approccio consolidato al progetto. Molti designer – per certi aspetti anch'io – trovano alcuni ambiti più congeniali di altri – siano essi divani, sedie, elettrodomestici, lumi, ecc. Ma è, io credo, più un'intima affinità che una scelta razionale.
Delimitando l'ambito di intervento difficilmente si circoscrive l'uso della tecnica. Ad esempio anche progettando esclusivamente divani può essere necessario realizzare un pezzo stampato in fusione. Se poi il divano ha schienale e braccioli regolabili, allora occorre prevedere un meccanismo, quindi altre tecnologie più o meno avanzate che si incorporano nel progetto. Per cui anche restando nel settore degli imbottiti, occorre conoscere, i meccanismi idraulici, le scocche in plastica, ecc. Ad esclusione, forse, delle cucine – per le quali andrebbe fatto un discorso a parte – non c'è settore di competenza del designer in cui non ci sia il coinvolgimento di molteplici competenze e tecnologie che occorre acquisire. Anche perché non esistono testi specifici in grado di preparare ad affrontare tutti i campi in cui è necessario l'intervento del designer.

Una delle specificità del periodo attuale è che oltre all'evolversi delle tecnologie per la lavorazione dei materiali tradizionali c'è poi una quota consistente di nuovi materiali...
Si, questo è un ulteriore elemento problematico. Ammetto di nutrire un po' di invidia per chi ha l'opportunità non solo di progettare, ma anche di sperimentare costantemente questi materiali.
Ad ogni Salone del Mobile, Material ConneXion® – il maggior centro di documentazione e ricerca sui materiali innovativi – presenta circa una trentina di nuove leghe, nuovi prodotti di sintesi e oggi in bacheca ha qualcosa come 3.000 materiali e processi produttivi innovativi. Sono però più propenso a ritenere che dal punto di vista operativo la sola conoscenza non comporta un notevole passo avanti, anzi può essere addirittura frustrante. Ad esempio io posso sapere che esiste un vetro plastico con caratteristiche ideali per il prodotto che intendo realizzare, ma se non conosco, o non esiste, un'azienda altamente qualificata in grado di lavorare quel determinato materiale come desidero – e con tempi e costi industrialmente opportuni – la mia conoscenza è del tutto inefficace. Occorrerebbe allora il talento congiunto dell'imprenditore e del creativo che, individuato un alveo di potenziale successo – ad esempio un prodotto che, utilizzando materiali innovativi, abbia caratteristiche assolutamente competitive – sia in grado di "creare" di fatto una competenza operativa e tecnologica su quel nuovo materiale. È questo poi storicamente che determina il diffondersi di ogni tecnologia e materiale nuovo.
Oggi in particolare mi sembra che questo processo naturale si sia esasperato in tendenza. Al punto che sembra strategico mettere in produzione oggetti al solo scopo di utilizzare un nuovo materiale. Raramente però un prodotto di successo con spiccate caratteristiche di novità deve la sua fortuna al solo materiale. Più spesso è una particolare sinergia tra design ed ingegneria a determinare il grande successo, anche perché non va sottovalutata una certa inerzia nei gusti del pubblico circa gli ambiti e le materie dell'abitare...

L'utilizzo del computer contribuisce sicuramente ad accrescere la capacità previsiva del designer. A tuo avviso questa possibilità di vedere a 360° la forma del prodotto prima che questa sia materialmente realizzata influisce sull'iter progettuale e sulla creatività?
Sulla creatività credo non abbia alcuna influenza, almeno nella misura in cui, ad esempio, una persona che disegna bene non viene influenzata dalle proprie capacità manuali: la creatività in sé è astratta. È vero comunque che il mezzo di cui si dispone consente di verificare la propria creatività. Questo mi sembra sia in questione nella programmazione 3D.
Quando si realizza uno schizzo si delinea qualcosa che rappresenta una possibilità. Da lì potrebbe nascere qualcosa di interessante, ma ancora non si tratta di un oggetto concreto. Soprattutto si ha ancora a che fare con una rappresentazione affettiva dell'oggetto. Per quanto si sia capaci a rappresentare disegnando, il disegno sarà sempre influenzato dalla simpatia che si prova per l'oggetto. Se mi piace lo disegno bene, se non mi piace sarà sempre disegnato male. Il computer crea quel diaframma che è necessario per procedere nella definizione formale. È asettico e ti consente di "anticipare" il momento, diciamo, di decisione estetico-funzionale, nei confronti di un'entità già molto più assimilabile ad un oggetto reale di quanto non lo possa mai essere un disegno. L'altro vantaggio è costituito dai tempi brevi di questo passaggio. Inoltre l'idea progettuale, una volta trasformata in 3D, se non ti piace la puoi cambiare. Nella mia attività non ho mai cancellato tante idee progettuali come adesso che utilizzo il computer.

Questa "sottrazione di passione" – di sapore quasi galileiano – attribuita all'utilizzo del modello 3D è quasi sorprendente confrontandola con le critiche rivolte da più parti a questo mezzo. Ricordo, ad esempio, Enzo Mari darne un'interpretazione accessoria, epidermica e "rumorosa" (dichiarando inoltre che, a suo avviso, oggi le tesi vengono valutate in base alla qualità del rendering e non del valore del progetto). Mi sembra interessante che, a contraltare dei clamori del 3D, ci sia chi parla di obiettività del 3D...
Chi esprime giudizi di questo tenore forse non ha una conoscenza approfondita del tema. Il punto è questo: su ciò che non si conosce spesso si esprimono dei pregiudizi. Molti designer, della mia generazione o ancora più anziani, hanno all'interno dello studio giovani studenti che utilizzano il computer. Questi ragazzi molto di rado possono aspirare ad avere un ruolo nell'iter progettuale vero e proprio: sono esecutori. In tal caso, è ovvio che il computer venga considerato "una macchina per disegnare", perché è così che viene usata. Scendendo nel dettaglio – anche se non è questa la sede – occorre riconoscere che qualche differenza la fanno i programmi, la competenza, l'abilità, ecc... Non tutto è uguale. Basta sfogliare qualche rassegna di progetti relativa al Salone di Milano o a mostre analoghe per capire che: 1) come tendenza quasi nessuno ormai propone i propri lavori attraverso il disegno; 2) anche a una prima lettura le simulazioni digitali tridimensionali possono essere sia molto realistiche che molto approssimative. E a fronte di quella povertà di contenuti ed informazioni ritengo ci sia da prevedere molta incertezza sul futuro dei prodotti finiti. Infatti sono convinto che una rappresentazione realistica possa scongiurare vari problemi operativi in fase di definizione del prototipo e di messa in produzione dell'oggetto, per il semplice fatto che molte eventualità vengono anticipate e corrette prima ancora sul modello virtuale.

Quindi ritieni che ci sia un buon livello di "sperimentazione" dell'oggetto nella fase di resa virtuale?
Sì. Anche perché con un programma 3D completo di luci, materiali, ecc., non si disegna propriamente l'oggetto ma lo si costruisce. Per cui non si tratta di un disegno fatto al computer (che può benissimo essere realizzato da terzi) ma di un vero e proprio progetto di costruzione dell'oggetto. E, nella misura in cui si ha un grado di competenza ed abilità sufficiente a gestire il programma senza esserne intimoriti, la progettazione in 3D equivale ad una sperimentazione volumetrica in quanto si realizza man mano l'oggetto e, nel procedere, l'oggetto viene verificato, se ne sperimenta l'efficacia, la fattibilità, ecc.

Dalle tue parole si avverte una certa passione...
Il fatto strano è che ho sempre avuto antipatia per queste macchine. Non so quante volte ho affermato di non aver bisogno del computer perché disegnavo meglio ed ero più veloce (in realtà ero veramente veloce ma solo perché col disegno l'oggetto non veniva scandagliato come faccio ora). Quindi, forte di questa convinzione, non ho mai voluto introdurlo nello studio, fino a 7-8 anni fa. Da allora c'è stata una completa inversione di atteggiamento, mi sono reso conto di non poterne più fare a meno per il mio lavoro. Ed è diventato praticamente un altro tassello, un altro settore su cui intervenire con mano, da bricoleur, perché in effetti lo smonto e rimonto abbastanza spesso...

Una traccia comune che caratterizza il tuo lavoro, è una costante tensione al bifido funzionale, al movimento applicato a viarie tipologie di prodotto – sedia, tavolo, divano. In ciò si manifesta fondamentalmente un tuo approccio ermeneutico all'ambito domestico che non è estetizzante, formale quanto piuttosto orgogliosamente pratico e dinamico...
È vero, ma non si è trattato di una precisa scelta razionale. Ho notato guardandomi indietro che c'era questo fil rouge che legava i miei lavori, come per esempio nel tavolo Clip Clap per Segis. Adesso ci sono molti articoli simili, ma all'epoca della sua ideazione era un oggetto piuttosto originale, soprattutto per il livello di industrializzazione che raggiungeva. Nell'ultima versione è diventato un vero gioiello di funzionamento, ha perfino la regolazione dell'altezza della gamba dall'alto. Et Voilà, sempre per Segis, è un suo immediato derivato, il dispositivo di Clip Clap è stato utilizzato direttamente senza modifiche, l'originalità del tavolo Et Voilà sta nella forma della gamba centrale che ne permette la impilabilità orizzontale.
Per Boboli posso dire che vale veramente il proverbio "non tutti i mali vengon per nuocere". Si stava lavorando con Alessandro Mazzoni Delle Stelle ad una mia vecchia idea di divano con spalliera alzabile, che venne presentato e subito accettato dalla Busnelli G.I. Purtroppo, qualche giorno dopo su una rivista vidi un divano quasi identico a quello che stavo perfezionando. Avvertii l'azienda che avremmo dovuto ideare qualcosa di nuovo e fu così che nacque il meccanismo di Boboli, forse il primo esempio di movimento che trasforma completamente l'impostazione della seduta. Biplano è stata una sfida, sia da parte mia che da parte dell'azienda Busnelli, piuttosto scettica dopo la realizzazione del prototipo. Il tema era quello di passare gradualmente dalla posizione seduta a quella completamente distesa.
Dovetti farmi mandare da Milano il prototipo già fatto, per poterlo modificare personalmente nell'officina e con l'aiuto di un mio amico fabbro, sperimentando sul divano stesso leve, molle, rotazioni ecc. Si riuscì così a restituire il prototipo alla Busnelli perfettamente funzionante.

Visitando il tuo studio ci si accorge di una consolidata presenza della manualità nel tuo lavoro e delle tue frequentazioni pittoriche. Un versante gestuale e poetico che del resto si desume anche dalla freschezza formale di Albero del cuore l'appendiabiti realizzato per Steel Line o di 4 Modi la credenza ideata per Genesi...
Ultimamente mi sono accorto anche di questa commistione di romanticismo e tecnologia che non solo si alterna ma convive in certi miei lavori. Una sorta di interscambio continuo che è anche tipico della mia personalità incline sia alla poesia, al colore, alla natura (caos e sommovimento) che, d'altra parte, alla tecnologia, all'ordine, alla precisione più schematica...
Amo dipingere e da parecchio tempo mi diletto – ora un po' meno per la mancanza di tempo – a realizzare queste composizioni cromatiche. La passione per il colore è sicuramente un polo della mia personalità e credo che anche negli oggetti e nei prodotti che realizzo se ne conservi una traccia. In questi mesi sto preparando i materiali per realizzare sia un sito professionale sia una pubblicazione in cui raccogliere un promemoria anche delle mie altre attività, ovvero pittura e fotografia, settori nei quali sono comunque rimasto un dilettante...
Quanto ad Albero del cuore è un progetto di alcuni anni fa per Steel Line e si potrebbe catalogare come appartenente alla mia parte più "poetica". Talvolta mi piace dare via libera alla fantasia per creare oggetti che diffondano intorno a sé un po' di ottimismo. L'albero ha per me questa caratteristica e mi piace averlo nel mio studio.
4 Modi invece è una credenza moderna di forma geometrica ideata negli anni '80 per Genesi International ed ancora in produzione. È un gioco sulla base del quadrato, la sua caratteristica principale è la smussatura in diagonale verso il centro. Piacque molto a Raissa, in visita in Italia col marito Michail Gorbaciov, che la volle acquistare per la sua casa in Russia.
Un altro oggetto romantico è Settecento di Giovannetti, un divano che ripropone in chiave moderna la raffinata eleganza dello stile Rococò.

La ricerca sui sistemi di seduta e sui componenti modulari lega da tempo il tuo nome a Busnelli. Da questa esperienza di alcuni anni cosa hai percepito circa l'evoluzione del salotto e del concetto di living?
Un cardine, anzi, il motore primo dell'evoluzione del salotto è stata sicuramente la televisione. Pur esistendo da oltre 50 anni la centralità di questa presenza importante non è stata recepita appieno fino a circa 20 anni fa – periodo a cui risale la completa assimilazione ed inglobamento della televisione all'interno del progetto complessivo della zona giorno. Il "salotto" – concetto che dubito collimi con quello dei trentenni di oggi – è stato per una parte molto consistente del dopoguerra uno spazio ad utilizzo limitato e intermittente; elemento rilevante più a livello rappresentativo/culturale – quasi uno status symbol – che a livello pratico. Si trattava di uno spazio assai più vissuto mentalmente che non realmente: ci doveva essere, ma non era il luogo del piacere, un ambiente nel quale si era più esposti che in intimità. E con tale tonalità predominante ha svolto le proprie funzioni: ospitalità di amici e parenti, sala di lettura, ecc.
Oggi, oltre che qualitativa, la metamorfosi fruitiva degli spazi del salotto è innanzitutto quantitativa. Da luogo di utilizzo saltuario è diventato luogo abitualmente frequentato da ogni membro della famiglia per 3/4 ore ogni giorno. E la permanenza, l'assidua frequentazione in questo ambito e di alcuni suoi componenti essenziali – in particolare le sedute – ha contribuito in parte all'evoluzione del gusto e del concetto stesso di questo ambiente. La rappresentatività ha cominciato a contaminarsi in modo sempre più marcato con il comfort. Per il design del divano, ad esempio, è divenuto assai importante consentire all'acquirente anche – se non soprattutto – una seduta comoda prolungata per ore. Tra l'altro vivo ogni giorno questa esigenza di praticità informale proprio nella mia stessa casa che ho arredato con divani disegnati da me, molto particolari, belli, ma assai poco comodi. Sicché, alla ricerca continua della posizione adatta, finisco magari steso sul pavimento con un paio di cuscini... Nella progettazione tengo molto presente il peso determinante di questo fattore. E con Busnelli ritengo, si siano create nel tempo discrete soluzioni, a partire da Boboli che consente di allungare le sedute, alzare poggiatesta, quindi passare agevolmente da una posizione di conversazione ad una di relax. In effetti ha avuto un notevole successo...

Tanto da indurre Busnelli a realizzare Ugo: un modello molto simile a Boboli su progetto interno del Centro Studi & Ricerche Busnelli...
È una questione che non approfondirei...

Un altro successo per Busnelli è stato Monopoli. Un progetto attualissimo di grande sobrietà formale in cui gioca un ruolo importante la polifunzionalità della struttura di base...
È un articolo dalla tecnologia avanzata e di impostazione molto originale nel settore divani.
L'elemento base del sistema è un estruso in alluminio che ho studiato in modo da accogliere una serie di elementi per la costruzione di composizioni varie. Monopoli dà l'impressione di un articolo attuale di grande versatilità e dalla tecnologia di alto livello.

Al Salone del Mobile di Milano 2005 hai presentato un progetto che, oltre a esserti particolarmente caro, rientra appieno nella tua ricerca di design dinamico cui si è accennato prima...
Si, tra i miei ultimi progetti tengo molto, in particolare, a Yes una sedia pieghevole – impilabile sia orizzontalmente che verticalmente – con struttura in alluminio pressofuso, seduta e schienale in abs che ho realizzato quest'anno per Bontempi Casa. Modestia a parte, credo si tratti di uno dei migliori progetti per questa tipologia. Ogni sua parte viene realizzata mediante stampi limitando l'intervento umano al solo montaggio dei componenti. Lo studio di fattibilità ha rappresentato la parte più seria della ricerca in quanto lo scoglio principale da superare è sempre costituito dal costo di realizzazione. Bontempi è un'azienda che realizza oggetti a prezzi competitivi e Yes, pur avendo caratteristiche equiparabili a prodotti analoghi di fascia alta – ad esempio un modello simile di Poltrona Frau – avrebbe dovuto essere venduta ad un prezzo più ragionevole. Sicché Yes è stata presentata come prototipo e col brevetto già depositato a Milano quando ancora la fattibilità di alcune sue parti non era stata risolta completamente. Come ho detto prima, realizzare una sedia significa affrontare una laboriosa gestione del progetto soprattutto perché costruire oggi una sedia equivale ad un grosso investimento, che induce molte aziende a muoversi con circospezione.

Ancora al Milan Design Week 2005 hai presentato Bonita, collezione di sedute che – pur allineandosi ottimamente con una linea aziendale già ben definita – si segnala per un bilanciato equilibrio tra leggerezza del segno, design contemporaneo e rigore funzionale...
Quella di Bonita è una storia lunga, la prima idea è di qualche anno fa. Consisteva in un telaio in tubo di alluminio e seduta e spalliera in trafilato di alluminio. Poi il telaio si è trasformato in una pressofusione, mentre è rimasta l'originale impostazione degli estrusi per il sedile e lo schienale, anche se con alcune piccole variazioni formali. È stato decisivo comunque, l'incontro con un'azienda come Origlia che, sfruttando la propria esperienza, è stata capace di portare avanti un progetto così complesso in modo brillante. Bonita è un sistema di sedute che comprende sedia, poltroncina, divanetto, seduta su barra, sgabelli ecc., il tutto in varie versioni. È un progetto per me importante ed al quale ho dedicato molto impegno, ma che sta già dando grande soddisfazione.
Tra l'altro il divanetto Bonita è stato segnalato tra le migliori opere di design contemporaneo Made in Italy dal Comitato di Italian Design on Tour 2006/2007 e sarà esposto in una mostra itinerante che toccherà Stati Uniti, Cina, India e varie capitali europee.

Lo scorso anno la tua Oblà era presente nell'atrio della mostra fiorentina 100 Years 100 Chairs. Vitra Design Collection: un'occasione unica per conoscere la storia del design dell'oggetto forse più significativamente connesso al nostro vissuto domestico. Oggi c'è anche questo tuo rinnovato interesse...
Si, Oblà è la sedia in plastica che ho realizzato per Steel Line nel 2004, semplice ed elegante è stata esposta, come l'ultima nata (del nuovo secolo) oltre le 100 sedie storiche presentate nell'ambito della Mostra allestita presso l'Ospedale degli Innocenti in Piazza SS. Annunziata.
Quest'anno al Salone, oltre alla collezione Bonita e a Yes ho presentato – ancora per Bontempi –, Link. Per quanto mi riguarda è un ritorno ad una tipologia con cui ho un grande feeling. Mentre è vero che nel settore c'è una grossa tensione nei confronti delle sedie. Un oggetto piccolo, alla portata di molti; un articolo industrializzatissimo cui si applicano molte nuove tecnologie. Inoltre, quando l'articolo è indovinato, c'è pure un ritorno economico importante: come detto si tratta di investimenti di rilievo che però possono portare a produzioni di centinaia di migliaia di copie.
Ma ciò che determina una forte attenzione su questo prodotto è la grande intimità che la sedia può vantare col vissuto di chiunque di noi. La libreria, può essere bellissima, ma è la sedia che viene a contatto con te. Anche il letto è a contatto con noi ma solo di notte. La sedia invece viene utilizzata tutto il giorno, di lei si ha una memoria molto più forte e polisensa: è uno degli oggetti più sinestetici della casa. E, più in generale, l'elemento seduta – almeno nella società occidentale – è un elemento completamente immerso e coinvolto dalla nostra vita quotidiana: da quando si sale in macchina, sul luogo di lavoro, a casa, ecc. Sedia e divano sono davvero i due elementi d'arredo con i quali conviviamo la maggior parte della nostra vita diurna...

Poco fa hai menzionato l'economicità del prodotto come valore, o, perlomeno, come requisito importante...
Mi sembra che realizzare un oggetto di grande serie (una sedia per esempio) dia risposte più coerenti con la questione posta dalla contemporaneità: ovvero produrre in un contesto ed in una società che non è più artigianale ma tardo-industriale. Tra l'altro produrre invece una sedia contract di alta fascia, magari con finiture artigianali e quindi di alto costo non mi sembra convincente né dal punto di vista commerciale né dell'impatto sul pubblico. Tant'è che preferirei di gran lunga ottenere un risultato di grande serie piuttosto che di nicchia; anche perché, bene o male, ritengo che il design abbia più a che fare con la grande serie che con la serie limitata. Non c'è vero progresso se una tecnologia non è alla portata di tutti, come sosteneva Henry Ford.

Ne hai già accennato in precedenza ma a chi ritieni di dovere qualcosa della tua successiva esperienza professionale?
La figura di Leonardo Savioli ha caratterizzato gran parte della mia vita. Una grande umanità, un grande comunicatore, ma, soprattutto, un grande progettista. E non mi riferisco tanto a progetti come quello di via Piagentina in cui vedo più ricerca che afflato teorico coerente. Penso piuttosto a quello che considero un capolavoro dell'architettura italiana del secondo dopoguerra: il Mercato dei Fiori di Pescia. Un progetto nel quale vengono esaltate le capacità più vere di Leonardo Savioli. L'ho visto in costruzione e in parte ho collaborato prima e durante la realizzazione – da studente eseguendo alcuni disegni e prospettive – però i lavori sono andati avanti per diversi anni. Quando finalmente è stato completato e vi si è svolta la mostra dei fiori, vedendolo ho avuto un'impressione fortissima: come di fronte a un Colosseo contemporaneo, un monumento dei nostri anni.
È effettivamente un progetto in cui è possibile comprendere la grande forza, la capacità comunicativa di Savioli, le vibrazioni che i materiali più tipici degli ultimi anni – metallo, cristallo, tralicci e pali d'acciaio – riescono a trasmettere.
Degli anni '70 ho comunque un ricordo intenso anche dei miei colleghi assistenti, tutti di qualche anno più grandi di me: Alberto Breschi, Stefano Bolaffio, Remo Buti, Giovanni Corradetti, Paolo Galli, Adolfo Natalini ed altri.
Esisteva fra di noi un continuo interscambio dovuto alla conoscenza dei lavori degli studenti che seguivamo per portarli all'esame di composizione. Ognuno di noi metteva in questo lavoro la propria personalità ed erano comunque tutte personalità di rilievo. Inutile dire che anche ciascuno di loro mi ha insegnato qualcosa.


Sergio Giobbi
via Ventura Monachi Ser, 26
50125 Firenze - Italia
Tel: +39 055 6810377
segiobbi@tin.it
www.giobbidesign.it


Busnelli G.I.
www.busnelli.it
Casprini
www.casprini.it
Giovannetti Collezioni
www.giovannetticollezioni.it
Segis
www.segis.it
Origlia
www.origlia.it
Bontempi Casa
www.bontempi.it
Toncelli
www.toncelli.it
Steel Line
www.steelline.it
Genesi International
www.genesinternational.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

 ulteriori informazioni » 



a cura di: 
Umberto Rovelli 


 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.

XII.
XIII.

XIV.
XV.

XVI.
XVII.

XVIII.
XIX.

XX.
XXI.

XXII.
XXIII.

XXIV.
XXV.

XXVI.
XXVII.


ha collaborato:
Eneko Aransay Ros




TOP