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 DELLA CAPACITÀ DI RENDERE VISIBILE IL PENSIERO
 Intervista a Francesco Mauri (Politecnico di Milano)


Innovazione formale, tecnologica, organizzativa. Forse le imprese, di piccola dimensione e non, hanno bisogno soprattutto di innovazione sul piano strategico... Qualche considerazione in merito...

Per affrontare il tema occorre muovere dalla definizione di sistema prodotto che appare centrale in un mercato sempre più saturo come quello contemporaneo. In questo scenario, in cui la competizione è legata ad un insieme estremamente ampio e complesso di fattori anche di natura immateriale, le componenti formali, tecniche, produttive, indubbiamente importanti, sono affiancate da altre legate alla comunicazione, distribuzione, servizio, che risultano altrettanto decisive. Innovazioni di prodotto e di processo devono dunque essere inquadrate all'interno di un'innovazione che si riferisce all'intero sistema coinvolgendo inevitabilmente aspetti di natura strategica.
Cito spesso l'esempio di Olivetti che qualche anno fa aveva proposto sul mercato un computer da casa che sfruttava lo schermo della televisione e prevedeva una tastiera a scomparsa e senza filo: un prodotto interessante ma che non ha avuto successo sul mercato perché è stato distribuito attraverso i canali tradizionali di vendita dei computer. E le possibilità di forme di distribuzione alternative si sono moltiplicate: si pensi alla diffusione che nei prossimi anni avrà l'e-commerce.
La storia insegna che, se non si ha innovazione strategica, anche prodotti interessanti e, sulla carta, vincenti rischiano clamorosi flop.


Quale ruolo può esercitare il designer nel progetto di strategia?
La strategia è sempre frutto di un lavoro collettivo, di team. Il designer deve dunque operare insieme ad altre figure con competenze diverse esercitando quella che è la sua dote innata e cioè la capacità di rendere visibile il pensiero, di dare forma a quello che gli altri o esso stesso intuiscono, formulano sul piano eminentemente teorico. La collaborazione nasce nel momento in cui gli altri operatori riconoscono al designer questa capacità, ritrovando nel suo lavoro le proprie idee, i propri sogni. Penso ovviamente ad un designer che non sia solo l'esecutore di bei disegni ma una figura in grado di svolgere la funzione di catalizzatore all'interno del team. Un designer che, per svolgere questo ruolo, deve avere una formazione fortemente transdiciplinare – disdegno i termini ridurre e circoscrivere – che, per fortuna l'Università Italiana, a differenza di quanto spesso è avvenuto nei paesi anglosassoni troppo legati da una visione tecnica del problema, ha per ora garantito.

Strategia è lavorare sui tempi lunghi. Il problema è che le piccole imprese dimostrano proprio in questo senso congenite difficoltà...
Affermare che le piccole imprese ragionano su tempi brevi è un luogo comune che occorre sfatare.
Basta pensare, solo per citare gli esempi più evidenti, agli ingenti investimenti in termini di macchinari che anche i piccoli artigiani fanno o al tema, particolarmente sentito a livello imprenditoriale, della continuità familiare. Nel proporre strategie su tempi lunghi, si tratta dunque di far leva proprio su questi fattori, entrando per piccoli passi nell'azienda, senza cercare di ottenere tutto e subito.
E attenzione al termine strategia che usato nei colloqui aziendali, molto spesso spaventa.


Attraverso quale iter e quali procedure è possibile formare un designer in grado di fornire contributi a livello strategico. Qual è l'esperienza da lei portata avanti nel corso del Politecnico? Il problema maggiore appare quello di far confrontare i futuri designer su temi di natura immateriale quali la comunicazione e il servizio...
Questa difficoltà nel ragionare in termini di immaterialità è reale. Forte è tra gli studenti la voglia di disegnare...
Anche qui si tratta però di muovere dal concetto di sistema prodotto dimostrando a chi ci ascolta come questo appaia oggi decisivo.
Attualmente nel mio corso stiamo lavorando sull'immagine della città di Milano. Il tema nasce dalla consapevolezza che oggi e ancor più in futuro la competizione tra le città Europee si farà serrata e che occorre intervenire in termini progettuali per non perdere le posizioni acquisite. E, in tal senso, a Milano, come altrove c'è molto da fare.
Penso a come una città senza una propria identità, per non dire brutta, come Bilbao con la costruzione del Guggenheim di Frank Gehry sia diventata porta d'Europa...


Qualche anno fa Frida Doveil individuava per il designer due livelli di intervento: il primo di tipo tradizionale sul prodotto, il secondo a livello di strategie, proprio del designer "con la testa tra le nuvole". Nel caso delle imprese di piccola dimensione, si può ipotizzare che queste due figure, distinte nelle grandi aziende, coincidano in una sola persona?
Anche a livello di imprese di grandi dimensioni oggi non c'è più distinzione tra le due figure, figuriamoci nelle imprese minori.
Il designer, come poc'anzi rilevavo, ha un'unica funzione, decisiva, che è quella di dar forma, rendere concrete le idee.
Un designer con la testa tra le nuvole, dunque... ma al tempo stesso con i piedi ben saldi a terra.


Testo:
Giuseppe Lotti

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VI.


ha collaborato:
Elena Granchi
Sonia Morini


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