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 L'EREDITA' DEI RADICALS
 Intervista con Lara-Vinca Masini


Mi è capitato di leggere recentemente alcuni resoconti di viaggi in Italia di Fernanda Pivano che, con Ettore Sottsass, partiva da Milano alla volta di Firenze per incontrarti... cosa puoi raccontarmi di quegli anni?

Negli anni sessanta i nostri incontri erano abbastanza frequenti, mi ricordo in particolare del periodo dell'alluvione. Qui a Firenze era difficile uscire di casa e trovare acqua e loro arrivarono da Milano con diverse taniche d'acqua... fu una cosa stupenda. Di solito, comunque, andavamo insieme a mangiare appena fuori porta in un ristorante cinese. Era molto bello e ci si mangiava molto bene, tant'è vero che dopo la sua chiusura Fernanda ed Ettore non vollero più andare in altri ristoranti cinesi.

In primo luogo un incontro gastronomico dunque.
Si. Ma c'erano anche gli impegni di lavoro per Sottsass a Montelupo Fiorentino. Sottsass a quel tempo realizzò alcune delle sue ceramiche migliori per Bitossi Ceramiche. Fu un periodo creativo e produttivo davvero bello anche perché l'allora direttore artistico delle ceramiche "Bitossi", Aldo Londi – un personaggio stupendo che vive nel ricordo di questo periodo – manifestava un enorme interesse per la figura e l'opera di Ettore. Londi era davvero pieno di entusiasmo per questa collaborazione – che poi sfociò, più tardi in una mostra – e mi ricordo che tutti lavoravano con gioia, anche gli operai, e Sottsass, appena poteva, veniva qui.

In quel periodo a Firenze si erano anche appena costituiti gruppi come Archizoom e Superstudio che hai seguito da vicino.
Io, forse ero più vicina a Natalini e a Superstudio, piuttosto che ad Archizoom, tanto più che gli Archizoom si stabilirono molto presto a Milano. Nel 1968, comunque l'architettura radicale era Firenze. In quel momento si incontravano tutti i ragazzi del Radical che nascevano allora. Sottsass è stato proprio il guru dei Radicals, è stato forse l'unico che li ha, diciamo, accolti fin dall'inizio. Branzi e tutti gli altri ci raggiungevano, lì nel ristorante, restando a parlare per ore con Ettore. Era considerato come una sorta di padre perché li aveva accolti con attenzione e li aveva seguiti. Si era creato un rapporto molto interessate tra Sottsass e Radicals: loro andavano da lui a Milano e, quando veniva a Firenze erano spesso insieme.
Per il Superstudio – particolarmente per Natalini – un personaggio che ebbe un rapporto soprattutto di memoria era invece Walter Pichler. Pichler aveva lavorato con Hollein, ma mentre Hollein ha continuato a realizzare architetture, Pichler si è provocatoriamente dedicato alla scultura, con opere che hanno sempre mantenuto uno strettissimo legame con l'architettura, ma che Pichler, invece, rinnegava. Qualche anno fa infatti, a Vienna, lo incontrai e vidi una sua mostra davvero meravigliosa. Gli chiesi se era architetto e lui negò recisamente "No, no. Io non sono architetto" mentre, invece, insieme a Hollein, nel 1962 aveva scritto il Manifesto dell'architettura assoluta.


Una negazione che forse negli anni dell'esperienza radical era, forse, anche una necessità...
Credo di sì, era un momento molto bello per Firenze... stranamente, di grande vitalità, l'unico momento di grande vitalità per la città, infatti proprio allora si affermava Ketty La Rocca e nasceva appunto l'architettura radicale. Probabilmente nasceva qui anche perché non essendoci committenze gli architetti potevano dedicarsi completamente all'utopia. Altre città, come Milano ad esempio, si sono aggiunte successivamente proprio perché la committenza non mancava. Quindi oltre alla ribellione contro l'architettura dell'International Style ormai molto compromessa dalla politica, dalle istituzioni ecc., c'era il fatto che Firenze non offriva altre possibilità, e anche questo ha favorito una formazione ideologica forte da parte dei giovani architetti. Una scelta abbastanza imperiosa di chi si rifiutava di fare architettura, dedicandosi a quello che chiamavano l'antidesign: design contro, contro-architettura.
E oggi, paradossalmente, per comprendere l'atmosfera di quel periodo, una splendida occasione è la bellissima mostra Architecture radicale tuttora in corso (fino al 27 maggio) presso L'institute d'Art Contemporaine a Villeurbanne in Francia. I francesi, al contrario degli stessi italiani, ritengono infatti opportuno riproporre questi lavori perché pensano che questa mostra, itinerante, possa ridare spinta anche all'architettura francese. E' veramente una mostra che vale la pena di vedere e di seguire, perché non è mai stata realizzata in un modo così esaustivo.


I Radicals sembrano destinati a suscitare più riconoscimenti all'estero che in Italia...
Sì, era da poco avviato questo discorso sull'antidesign quando venne realizzata la mostra a New York Italy: New Domestic Landscape del '72, dove fu consacrato tutto il grande design istituzionale italiano, da Magistretti a Castiglioni fino ai primi lavori radicals. Fu il grosso boom dell'Italia e dell'antidesign italiano, in cui veniva fuori tutto il nuovo design, da Sottass ai radicals. E tra questi Gaetano Pesce che ritengo sia tuttora uno dei maggiori personaggi del movimento: il suo antidesign è uno dei più interessanti. Forse l'unico che con Starck, e pochi altri, abbia mantenuto inalterata, nel corso del tempo, la propria forza progettuale.

Avevi definito la fine degli anni '60 come un periodo straordinariamente vitale per il design a Firenze. Che altro c'era?
Ben poco. Potronova ad esempio – se si può parlare di design in quel caso – ma oltre a ciò solo qualcosa sul mobile. Le committenze erano, per quanto mi risulta, pressoché inesistenti. Non solo l'antiarchitettura si è manifestata soltanto nel design, ma con la nascita di Alchimia, Memphis e dopo ,nel '72-'75, con Global Tools – quando cioè il movimento cominciò a diventare veramente di livello internazionale – il centro, attraverso l'Archizoom, diventò Milano.
La Pietra, Mendini e tutti gli altri cominciarono ad operare a Milano... E, devo dire che purtroppo molto design radical divenne "di moda", perché Memphis e Alchimia – dietro cui erano Sottsass e Mendini – conquistarono un mercato internazionale di grossa forza che dette il via ad un fenomeno di "tendenza" che soprattutto ha impressionato la borghesia colta che voleva sentirsi "à la page". Molti si sono accaparrati questi nuovi oggetti che ben presto, secondo me, sono diventati oggetti di moda e poco più.
Oggi non seguo più molto il design di Branzi e di chi opera a Milano, ma credo che si siano inseriti nel discorso di un design innovativo e non certo soltanto alla moda... Ma c'è anche chi, dopo l'esperienza radical ha invece operato in maniera del tutto libera: ad esempio Riccardo Dalisi, che ha sempre realizzato un design alternativo di grande qualità e poesia. Poesia legata anche a forme, disegni, espressioni, qualificazioni mentali riprese dal suo rapporto diretto con i bambini. Dalisi ha riscoperto proprio questa felicità di creare che è del bambino.


Sull'esempio di Dalisi ti vorrei domandare se non ritieni che nel suo lavoro si possa essere leggere una dimensione caratteristica che "marca" buona parte dell'attuale progetto italiano di qualità. Un'estetica "introversa": raffinatissima, profonda, esistenziale...
Questa via privata al progetto, non è di ora. Risale al momento in cui, dopo gli anni settanta, tutte le attività sono uscite dall'ideologia proprio perché questa ideologia non reggeva più come fulcro concettuale di riferimento. Sarebbe questo un discorso parecchio lungo, e comunque non è da oggi che il progetto di architettura e di design riscopra fondamenta che investono il privato esistenziale. Ma particolarmente oggi questo processo di introversione è esploso all'interno di una sorta di vuoto generale a cui si assiste su scala mondiale. E' un vuoto che si è riconosciuto nelle due ultime biennali sia d'Arte che di Architettura. Non un vuoto negativo, bensì è un vuoto d'attesa che è molto interessante e che ha portato a quella che definisco una "contaminazione totale delle arti". E devo dire che questa contaminazione è certo un'eredità che i Radicals – forse senza rendersene conto – ci hanno lasciato per primi. Furono infatti loro i primi a portare le arti visive e le arti plastiche a collaborare direttamente con l'architettura.
Tra l'altro, alla fine degli anni sessanta, in un momento in cui tutti gli artisti realizzavano cortometraggi d'autore, a Firenze, il film d'artista era spesso prodotto da architetti e artisti insieme. Fatto, questo, che non si è verificato altrove e che io reputo molto interessante in quanto testimonia un'apertura, una tensione, appunto, a contaminare cose diverse, mezzi e strategie progettuali differenti. Fino ad allora la collaborazione tra architettura ed arte era una collaborazione non paritaria. Quando, ad esempio, Savioli chiamava gli artisti, la relazione tra architetto ed artista era comunque analoga a quella intercorrente fra attore e regista. Per carità, non che Savioli avesse un atteggiamento prevaricatore, dico che fino ad allora l'arte era assunta dall'architetto, in modo manageriale, da capo, da coordinatore. Oggi questo rapporto si è per così dire, sciolto, e quando io stessa propongo ad artisti ed architetti di lavorare insieme, ognuno recita il proprio ruolo di architetto e artista in un incrocio di creatività che, credo, sia la speranza di questo momento.


Critico fra i più noti nel mondo dell'arte contemporanea, Lara-Vinca Masini è autrice di saggi e monografie, organizzatrice di mostre e manifestazioni nazionali e internazionali, membro effettivo dell'AICA (Associazione Internazionale Critici d'Arte) dal 1967 e coordinatrice del Museo Progressivo d'Arte Contemporanea di Livorno. Membro della commissione italiana per le arti visive e per la sezione architettura alla Biennale di Venezia 1978, ha ottenuto il Premio dei Lincei per la critica 1986. Fra le sue opere segnaliamo: Arte Contemporanea. La linea dell'unicità (Firenze, 1989), Arte Contemporanea. La linea del modello (Firenze, 1996), Art nouveau (Firenze, 1975) e il Dizionario del fare arte contemporaneo (Firenze, 1992).


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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Testo:
Umberto Rovelli

 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.

ha collaborato:
Sonia Morini




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