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 LA DOLCE, FLUIDA E LENTA INTELLIGENZA DEL DESIGN
 Intervista a Ilaria Gibertini

Ilaria Gibertini nasce a Parma il 30 gennaio 1970. Consegue la Maturità Artistica e si diploma nel 1992 all'Università del Progetto – Design, Comunicazione, Strategie. Lavora nel reparto creativi dello studio professionale dell'Università come grafica e progettista – Barilla, Lagostina, Tre Marie, Max Mara. Dal 1993 lavora come free lance. Alterna progetti di industrial e graphic design cercando quando possibile la fusione tra i due.
Ha partecipato ad esposizioni e mostre a carattere internazionale tra cui:
La Fabbrica Estetica: l'ultima generazione del design italiano (Parigi 1993), Bio 16 (Lubiana 1998), Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo (Roma 1999). Lavora come consulente in studi di design ed agenzie pubblicitarie. Tra le aziende per le quali ha lavorato: Artista Visitatore Associati, Mandarina Duck, Nemo (gruppo Cassina), Outlook Design Italia, Rosenthal, United Pets.


Da tempo l'interesse di Coop per un mercato del design si è fatto man mano evidente. Per molti designer questo rinnovato impegno ha rappresentato un'ulteriore occasione affinché l'impegno etico, ideativo, concettuale e formale profuso nel progetto, non denunci i limiti di una attività che, troppe volte – loro malgrado –, ha generato prodotti costosi alla portata solo di una élite di consumatori... Cosa implica per te lavorare per un committente come Coop? La grande distribuzione può riuscire a far arrivare alla gente quel gusto ed attenzione solitamente riservati al mondo elitario – e costoso – del design? Oppure il binomio qualità / basso prezzo non si addice, ancora, a tale mondo?
L'impegno del progettista nel pensare oggetti per la grande distribuzione piuttosto che per le note aziende del mondo del design è lo stesso. Durante la fase esecutiva del progetto ci sarà un'attenzione particolare nell'abbattere il più possibile i costi di produzione, diminuendo il numero dei componenti, semplificando il montaggio e l'imballaggio. Ma credo che questa sia ormai una pratica diffusa in tutti i settori. L'abbattimento del costo finale dell'oggetto si attua anche riducendo al minimo i passaggi tra produttore e consumatore, oltre che nella scelta dei materiali e delle tecnologie impiegate.
Abbiamo lavorato e stiamo tuttora lavorando al progetto Design alla Coop cercando di rispettare la qualità degli oggetti proposti a prezzi ragionevoli, alla portata di molti.
La grande distribuzione offre già prodotti di design, ne sono pieni gli scaffali. Il pubblico è dotato di gusto e sensibilità quando ha il tempo di guardare, toccare, provare, sentire l'odore e il rumore (o il suono) che un oggetto produce. Si tende a concentrare l'attenzione sulla visibilità ed il costo di un oggetto a discapito della qualità, della "sostanza". Ci sono ad esempio pentole che una volta sul fuoco emettono un odore sgradevolissimo, di plastica bruciata. Forse sono costate poco ma fanno passare la voglia di cucinare...

Nei tuoi progetti si nota l'attenzione al valore aggiunto degli oggetti. Tra i tanti, è il caso di Stendino con cappottina realizzato proprio in occasione della mostra milanese di Design alla Coop nel 2005. E' forse una tua strategia di approccio al progetto? Cioè rivedere e migliorare oggetti già esistenti e di uso comune, anziché crearne ex-novo? Oppure preferisci cercare nuove forme per nuovi prodotti?
L'idea di Stendino con cappottina è nata osservando le signore che stendono nel palazzo in cui abito che proteggono il bucato coprendolo con un telo di plastica posticcio, fissato con alcune mollette. La mia intuizione non è frutto di un'azione strategica ma banale osservazione di gesti quotidiani. Comunque migliorare oggetti già esistenti è un buon esercizio e può essere molto interessante. Allo stesso tempo mi piace pensare a nuovi prodotti e a nuove forme. Un esempio è Bon Ton, dispenser di sacchetti a forma di osso da agganciare al guinzaglio del cane, disegnato con Miriam Mirri per United Pets. Nuova tipologia di prodotto, forma accattivante e prezzo contenuto.

Lavori sia nel campo dell'industrial che nel graphic design, quale di questi riesce ad esprimerti maggiormente? A tuo avviso, che tipo di affinità progettuali caratterizzano queste due professioni?
Nel campo del graphic design mi alleno quotidianamente lavorando in un'agenzia pubblicitaria, mentre in quello dell'industrial design mi tuffo quando mi si presenta l'occasione ed è come se ogni volta dovessi imparare a nuotare.
La varietà dei materiali e dei sistemi produttivi nel mondo degli oggetti offrono un campo molto vasto in cui operare. Nella grafica le possibilità di espressione si manifestano in un ambito più ristretto, delimitato dai materiali impiegati nella stampa o dalle tecnologie del mondo digitale. La terza dimensione degli oggetti, rispetto alla bidimensione del foglio stampato (se per un attimo tralasciamo la grammatura, lo spessore della carta), si porta appresso una serie di problematiche, prima fra tutte la fattibilità, da affrontare con metodo progettuale rigoroso e competenze tecniche specifiche.
In entrambe le professioni è indispensabile mantenersi aggiornati il più possibile sui materiali e sulle tecnologie produttive, avere tempo per fare ricerca e raccogliere informazioni su prodotti simili a quelli che si andranno a progettare, attingendo idee anche da altri ambiti, solo apparentemente estranei.
Riesco ad esprimermi al meglio quando ho la possibilità di muovermi da un campo all'altro liberamente, lavorando in modo creativo e condividendo le problematiche con altri progettisti, possibilmente nel rispetto dell'ambiente.

In ormai più di 10 anni di attività sei venuta a contatto con realtà produttive diverse; Mandarina Duck, Nemo, Outlook Design Italia, Rosenthal, United Pets. Potresti raccontarmi alcune esperienze lavorative particolari che in qualche modo hanno contribuito in modo determinante a formare la tua odierna figura professionale?
La mia prima esperienza lavorativa è stata all'interno dello studio professionale dell'Università del Progetto, dove sono rimasta un paio d'anni, nei primi anni 90. Lì ho avuto la possibilità di lavorare in un clima molto particolare, quasi in un'atmosfera protetta, vicino alla scuola come impostazione e come colleghi di lavoro alcuni compagni di scuola.
L'inizio della mia attività come libera professionista coincide con la messa in produzione della lampada Virgo per Nemo. Durante un corso all'Università del Progetto tenuto da Carlo Forcolini dovevamo progettare una lampada. Da quella esercitazione saltò fuori il primo schizzo di quella che sarebbe poi diventata una piccola alogena da tavolo con il trasformatore nel pancione. Carlo Forcolini con Nemo sviluppò il progetto e nel '93 entrò in produzione. Ho poi lavorato per un po' di anni in solitaria fino a che ho sentito la necessità di uscire dallo "splendido isolamento d'artista" per andare a cercare progettisti con il mio stesso desiderio di collaborazione, scambio e confronto. Ho collaborato con Syn, Matteo Bazzicalupo e Raffaella Mangiarotti, Giulio Iacchetti, Christoph Nussbaumer e Miriam Mirri.
Con Syn ho sviluppato il progetto di una tazza per bambini e una ciotola per animali. Per la prima volta sono riuscita a fare un intervento, seppur minimo, di comunicazione legato all'oggetto da me disegnato (leaflet, packaging, poster).
Con Matteo e Raffaella ho realizzato una collezione di oggetti da scrivania per Mandarina Duck, partendo dal materiale, l'acciaio, e dalla tecnologia produttiva, la fototranciatura chimica. È stata un'esercitazione utile di metodologia progettuale.
Poi con Giulio all'arrembaggio, a bordo della sua 2 Cavalli bianca, in cerca di contatti e aziende bendisposte. Tra queste United Pets, giovane e flessibile, neo posizionata nel mercato degli accessori per animali. Per loro abbiamo disegnato il logo dell'azienda, oggetti, packaging ed espositori.
Successivamente ho lavorato con Christoph Nussbaumer nel suo tecnologico e internazionale studio a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ricavato da una deliziosa casa di campagna con vigna e alberi da frutto tutti intorno. Ho seguito progetti nel settore sportivo per Atomic e Recco.
E poi Miriam Mirri che conosco dai tempi dell'Università del Progetto. Abbiamo vissuto insieme e condiviso la stessa stanza per qualche anno. Sono stata attratta dalla sua dolcezza e dalla sua intelligenza. Già dai tempi della scuola abbiamo fatto qualche progetto insieme, ci siamo tenute in contatto negli anni in cui lavorava nello studio di Giovannoni e negli ultimi anni abbiamo di nuovo lavorato insieme. Lei vive e lavora a Milano e io a Parma ma riusciamo ugualmente a mantenere uno stretto contatto e a scambiarci informazioni, consigli, amicizia e affetto.

Purtroppo è raro incontrare figure femminili nel design. Agli albori del design italiano del dopoguerra ci si ricorda Giò Ponti in tenuta da meccanico, stampatore... I primi designer erano anche imprenditori, autoproduttori... Non che ciò implicasse alla disciplina una scelta di genere, ma perlomeno una propensione al maschile. Oggi – anche perché, forse, sono profondamente mutate le condizioni del fare design – si assiste ad una prima crescita autorale al femminile. Patricia Urquiola domina quasi incontrastata nelle produzioni di molte grandi aziende, meno di due anni fa – nel febbraio 2005 – Link è stata una mostra antologica di grande interesse dedicata all'opera di Matali Crasset. Ancora nel 2004 tra i più intriganti approcci al design del Salone ci sono stati senza dubbio quelli proposti dal gruppo svedese Frost. Infine risale all'anno scorso la notizia del premio Pritzker – il Nobel dell'architettura – all'iraniana Zaha Hadid. Mi piacerebbe affrontare con te il tema del design visto e vissuto dalla donna, sia in senso estetico che professionale. Ed in particolar modo, sapere se ci sono stati ostacoli – e, semmai, di che tipo – durante il tuo percorso lavorativo...
Ho seguito con piacere il successo di Patricia Urquiola perché mi piacciono molto alcuni suoi lavori. Lessi anche un articolo molto interessante sul rapporto professionale e umano tra lei e Patrizia Moroso. Anche Matali Craset mi piace, la ricordo al primo Salone Satellite con la colonnina per l'ospitalità, molto seria e determinata. Apprezzo il suo linguaggio e la "simpatia" dei suoi progetti.
L'approccio professionale femminile è caratterizzato da una sensibilità e da una emotività che nel mondo maschile è meno diffusa. Anche il ritmo è diverso, lento e fluido, almeno per quanto mi riguarda.
Gli ostacoli credo che siano gli stessi che può incontrare un uomo e quindi più legati alla personalità di ognuno piuttosto che al sesso. L'ostacolo più grande per me è stato il pensiero che per fare design al 100% avrei dovuto trasferirmi a Milano. Non ce l'ho mai fatta. Vivo e sono nata in una piccola città a misura d'uomo, in cui è ancora possibile muoversi in bicicletta. Con l'auto basta un quarto d'ora per ritrovarsi in collina, in mezzo al verde. In treno arrivo a Milano in poco più di un'ora. L'idea di stare ore in automobile, in coda, imbottigliata nel traffico è per me insopportabile. In più ora ho una bimba di 5 anni e sogno addirittura di trasferirmi in campagna, coltivare un orto e vivere in armonia con la natura e le stagioni.

Nell'esperienza di un giovane designer, tra le componenti biografiche che forse più meritano di essere trasmesse c'è sicuramente quella dell'avviamento alla professione. Nella tua storia, cosa ha contato in particolare? Cosa ha influenzato i tuoi studi? Chi hai avuto come punto di riferimento? A quali designer, italiani e stranieri, ti senti più vicina nel modo di lavorare e di concepire un progetto?
Quando ero bambina ho avuto la fortuna di fare le elementari in una scuola sperimentale a tempo pieno. Avevamo tanti maestri, laboratori liberi a scelta (in cui si poteva praticare molteplici attività tra cui scultura, pittura, incisione, burattini, cucito, teatro...). Non avevamo sussidiari ma libri autoprodotti. La scuola era ricca di creatività, partecipazione, ricerca, osservazione diretta della natura. Ricordo che avevamo costruito una dimora per i bruchi che trovavamo in giardino, alcuni si erano trasformati in crisalidi e alla fine avevamo addirittura le farfalle in classe.
Dopo le medie (scuola vecchio stile e mediocre) ho studiato decorazione all'Istituto d'Arte di Parma. Qui è continuato e si evoluto l'amore per il disegno, le tecniche pittoriche, la modellazione dell'argilla e la storia dell'arte.
Finite le superiori pensavo di fare architettura o una scuola privata di design a Milano. Poi ho saputo dell'esistenza di una scuola a Reggio Emilia: l'Università del Progetto. I fondatori della scuola (Paolo Bettini, Giulio Bizzarri e Gianfranco Gasparini) e i visitatori da loro invitati per fare corsi ed esercitazioni hanno "stravolto" le regole delle scuole da cui provenivo, più tradizionali e schematiche. Tra i visitatori che ricordo con particolare stima e affetto posso citare Ermanno Cavazzoni, Gianni Celati, Luigi Ghirri...
Punti di riferimento nel mondo del design ne ho avuti diversi e la lista è tutt'ora in continuo aggiornamento. Al primo posto metto Achille Castiglioni, al quale scrissi brevi lettere per comunicargli il mio "amore", fino a che un giorno mi concesse un'ora per conoscerlo e vedere il suo mitico studio in piazza Castello. E poi Bruno Munari, Giò Ponti, Vico Magistretti, Gaetano Pesce, Ettore Sottsass, Denis Santachiara, Jasper Morrison, Martì Guixé... Ma anche Gustave Dorè, Egon Schiele, Hundertwasser... e tanti altri.



Ilaria Gibertini
Via Cremona 12
43100 Parma - Italy
Tel-Fax +39 0521 776933
www.pyxy.it/ila/frame.html

United Pets
www.unitedpets.it
Mandarina Duck
www.mandarinaduck.com
Nemo
www.nemoitalianaluce.net
Outlook Design Italia
www.outlookitalia.it
Rosenthal
www.rosenthal.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

 ulteriori informazioni » 






a cura di: 
Federica Capoduri 


 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.

XII.
XIII.

XIV.
XV.

XVI.
XVII.

XVIII.
XIX.

XX.
XXI.

XXII.
XXIII.

ha collaborato:
Umberto Rovelli




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