CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET

 

 LO SGUARDO VISIONARIO. DESIGN COME PROIEZIONE OLTRE L'ATTUALE
 Intervista a Luisa Bocchietto

Diplomata a Milano nel 1982 in Progettazione d'Interni all'Istituto Europeo di Design IED e laureata nel 1985 al Politecnico di Milano con Marco Zanuso – con un progetto per il Ponte dell'Accademia di Venezia segnalato ed esposto alla Terza Mostra Internazionale di Architettura Biennale di Venezia –, Luisa Bocchietto dal 1985 lavora come professionista nel proprio studio in Biella – dove è nata –, per una committenza sia pubblica che privata, svolgendo progetti di sviluppo locale, recupero urbano e ristrutturazione edilizia nel campo dell'architettura. L'attività di progettazione si sviluppa nel tempo oltre l'ambito locale, per la realizzazione di arredi, residenze, negozi, uffici, allestimenti in Italia e all'estero, loft – Biella, Cannes, Cortina, Santa Margherita, Milano. Su incarico della Provincia di Biella, ha scritto il volume Abitare nel Biellese ed articoli per riviste di settore nel campo del design e dell'architettura. A fianco dell'attività professionale, da sempre, svolge a vario titolo impegni a sostegno della diffusione della qualità del progetto. È stata presidente dell'Ordine degli Architetti di Biella promuovendo pubblicazioni, mostre, convegni e concorsi di architettura a livello locale. Dal 2000 si occupa della direzione artistica per la collezione Serralunga e attualmente è presidente della Delegazione Occidentale - Piemonte e Valle d'Aosta dell'ADI - Associazione per il Disegno Industriale. Collabora inoltre con il Comitato Operativo per la promozione di Torino World Design Capital 2008, e come tutor/visiting professor con università e scuole di design. Dal 2008 è Presidente dell'ADI nazionale.


Donna e Design. Un binomio che esiste da sempre e che oggi, forse più che mai, è reso unico da grandi protagoniste. Mi riferisco non soltanto alle creatrici degli oggetti ammirati e pubblicati nelle nostre riviste patinate, ma anche – e soprattutto – alle donne che da sempre sono state e sempre saranno designer. Eserciti di casalinghe che re-inventano e modificano accessori perché progettati secondo la regola de La caffettiera del masochista, nonne sapienti di cucito, cucina e olio di gomito, donne e ragazze dietro a computer maledettamente insapori che inventano straordinari ambienti e prodotti. Progetti per la casa, progetti per donne, progetti per uomini, progetti per bambini. Tutti accomunati da un aroma possente, terreno ed anticamente genetico. Sulla scia di queste sensazioni, vorrei chiederti come vivi quest'unione, in qualità di donna ed affermata designer. Quali sono, inoltre, i nodi ancora da sciogliere e le caratteristiche – positive e negative – del design al femminile?
Una breve premessa: quando lavoro non mi sento donna o uomo, mi sento un progettista. Così è stato da sempre, non credo ci sia un modo di progettare da donna; artisticamente ognuno di noi ha dentro di sé componenti femminili e maschili che consapevolmente o meno vengono messi in evidenza. Certo la volontà di assoggettare il mondo è più forte nell'uomo; perchè nel processo descrittivo del mondo lo penetra e seziona nel dettaglio, mentre la donna accoglie e cerca una visione d'insieme, anche a costo di sembrare meno scientifica. Sono aspetti del processo cognitivo, varianti di percorso per arrivare alla meta: la comprensione del mondo, la sua descrizione, la creazione.
È solo nel corso della vita professionale che ho potuto rendermi conto di come essere donna possa rappresentare, a volte, un piccolo ostacolo, un sassolino nella scarpa. I luoghi comuni e le regole di un mondo funzionante a misura d'uomo pongono la donna in una posizione scomoda che le impone di giustificare la presenza od assenza della propria femminilità in contesti di per sé avulsi dalla caratterizzazione di genere. Per farcela dobbiamo essere molto, molto sicure di ciò che si fa, e purtroppo molte di noi non ce la fanno. Le pressioni sociali sono sottili e potenti e raggiungere dei risultati professionali a volte per una donna è un lusso mentale. Penso agli eserciti di donne che non hanno avuto modo di esprimere la propria creatività… ma credo anche che questa forza stia oggi emergendo in modo esponenziale e come dici, appunto, sia possente ed antica. Questo aspetto m'interessa molto e non a caso con Anty Pansera – già curatrice della mostra Dal merletto alla motocicletta –, sto promuovendo una mostra sul Design e le Donne da portare a Torino nel 2008 in occasione dell'anno del design. La mostra s'inaugurerà l'8 di marzo (cadono nel 2008 proprio i cento anni dall'evento che ha determinato la celebrazione della Festa della Donna) e sarà accompagnata da uno spettacolo teatrale. Questo lavoro sarà così un modo per indagare meglio sull'esistenza di un design al femminile ma credo soprattutto che, in primo luogo, sarà un'opportunità di valorizzare figure del design che sono state protagoniste della storia e che oggi sono sempre più numerose.

Dal 2000 sei art director di Serralunga, azienda che si è distinta per vitalità creativa e tecnologica. Non a caso, una precisa peculiarità che si osserva nel tuo lavoro è il voler virare ad altro uso forme e tecniche, anche grazie all'utilizzo dello stampaggio rotazionale – rivoluzionaria tecnica in grado di consentire versatilità di forma e dimensione insieme a innovative qualità estetiche e cromatiche. Da cosa è nata questa particolare voglia di riconversione? Può essere definita una vera e propria mission?
L'opportunità di mettere in pratica quanto imparato nel corso degli studi con Marco Zanuso è stata, in effetti, una vera mission; il design non solo in quanto forma dell'oggetto ma anche come capacità di interferire con il processo industriale. In questo caso la scommessa era trasferire una tecnologia da un settore – il tessile, in cui operava l'azienda e per la quale era stata importata la tecnologia di stampaggio dall'America –, ad un altro – il settore del mobile, dove la tecnologia seppur conosciuta non veniva utilizzata. Il vantaggio era la possibilità di produrre oggetti molto grandi con costi d'investimento limitati. Questo ha garantito la possibilità di una nuova sperimentazione che ha portato benefici tecnici sia per l'azienda – che ha poi riconvertito totalmente la sua produzione –, sia per il settore in generale, aprendo nuove possibilità di ricerca.
Il mio lavoro di art direction ha ottenuto la segnalazione dell'ADI Index nel 2004 come un vero e proprio progetto di design, quale per me è stato.

Riguardo ai numerosi eventi proposti a Torino negli ultimi tempi, vorrei mi parlassi di questa particolare Capitale del Design...
Torino è stata nominata Capitale del design per un anno intero: il 2008. Diversamente da quanto si potrebbe immaginare non si tratta di uno scippo nei confronti di Milano. Milano è e incontestabilmente resterà sempre la capitale mondiale del design; è un dato di fatto. Questo riconoscimento nasce invece dalla volontà di premiare Torino per una candidatura mancata ad essere sede della segreteria dell'ICSID – Associazione mondiale delle Associazioni del Design –, di cui ADI è fondatrice. In virtù della pregevole documentazione di candidatura fornita, poiché la sede è stata destinata a Montreal, è nata la volontà di premiare questa città con un evento specifico ed innovativo, che si sta traducendo in un vantaggio maggiore rispetto all'originaria gara per la segreteria. La città ha scoperto con le Olimpiadi 2006 di saper gestire eventi di largo respiro ed ora, con questo primo ed importante esperimento dedicato al Design, continua a rinnovare la propria visibilità a livello internazionale.
Già altre capitali si sono presentate per accogliere il successivo evento World Design Capital, che avrà cadenza biennale e che premierà città che vedono nel design un'opportunità di rinnovamento.
Torino, inoltre, sarà anche la prima città a celebrare al di fuori di Milano il Compasso d'Oro – premio al miglior design italiano. In virtù di questo programma, si è deciso di realizzare lì anche questo importante evento proprio per ribadire la raggiunta consapevolezza che il design è patrimonio diffuso di tutto il territorio nazionale, e motore di sviluppo in tutti i contesti industriali avanzati.

A proposito vorrei affrontare con te il tema della regionalizzazione dell'ADI. Sei presidente della Delegazione Nord Occidentale – Piemonte e Valle d'Aosta – e, pur riconoscendo il massimo a Milano, occorre dire che un problema di relazione, potere ed autorevolezza sussiste ed è tutt'oggi marcato fra sede milanese e delegazioni regionali. Di più, le logiche della rappresentatività e dei riconoscimenti, oggi appaiono un po' troppo autoreferenziali nei confronti di un bacino molto più allargato di 15 anni or sono. Già il Piemonte ha spesso conquistato il Compasso d'Oro con grandi aziende come Fiat, ma poniamo il caso della Toscana; negli ultimi venticinque anni solo tre sono i riconoscimenti ottenuti da aziende e nessuno dai progettisti – escludendo il Compasso d'Oro Giovani attribuito ad Elisabetta Cianfanelli. Scorrendo il regesto completo del concorso, aziende del livello di Edra e Ceccotti non vanno oltre la segnalazione o non risultano quasi menzionate. Certo può apparire di non volare troppo alto, ma il tema della territorialità (probabilmente l'anima più in difficoltà del made in Italy) passa anche attraverso il riconoscimento del suo valore a livello nazionale...
Il lavoro svolto da ADI in questi ultimi anni è stato di apertura verso i terrori proprio perché si intende fare conoscere e facilitare l'accesso al Premio Compasso d'Oro da parte di aziende e progettisti su tutto il territorio nazionale. I soci sono più che raddoppiati grazie al lavoro delle Delegazioni, mentre per anni erano rimasti un numero invariato. A livello piemontese la nostra Delegazione ha creato una mostra itinerante che, attraverso le immagini, racconta i progetti che hanno vinto il Compasso d'Oro e, fisicamente, tramite gli oggetti esposti, propone i prodotti che sono stati selezionati dall'ADI Index, che hanno ottenuto la segnalazione o hanno vinto il Compasso d'Oro provenienti dal territorio. Questa mostra – realizzata nel 2004 a Borgomanero, Alessandria, Biella e Ivrea –, avvicina il pubblico alla storia del Premio e presenta l'eccellenza produttiva in ambito territoriale. Nel tempo questa collezione, che s'integra ogni anno di nuovi pezzi, diverrà patrimonio significativo del territorio e potrà contribuire al racconto di un piccolo pezzo di made in Italy. Analoghe iniziative possono essere promosse anche su altri territori, ciò serve ad informare progettisti ed aziende sul lavoro di raccolta e selezione annuale che ADI fa a titolo gratuito per promuovere i migliori prodotti di design italiano. Più di 100 persone collaborano con ADI per la selezione dei pezzi da pubblicare su ADI Index che costituisce la preselezione al Compasso d'Oro. Questo screening territoriale porterà un domani alla pubblicazione di Codex regionali che metteranno in evidenza anche i prodotti non selezionati ma meritevoli di attenzione.

Il tema della differenza di scala come si manifesta nel tuo lavoro? L'architettura e il design sono campi omogenei di un'attenzione complessiva e "ambientale" che progetta, oppure...
Mi sono laureata in Disegno industriale alla facoltà di Architettura e quindi per me progettare fa parte di un modo visionario di osservare il mondo con l'ambizione di contribuire, con il progetto, al suo miglioramento. La modalità di progettare è la stessa; si parte dall'esame di ciò che esiste per introdurre novità, nuove funzioni o per valutare nuove risposte ad esigenze inespresse. Progettare un oggetto o lo sviluppo di un territorio ha similitudini di approccio che fanno sempre riferimento ad una capacità di proiettarsi oltre l'attuale. Anche l'ambiente ha a che vedere con la qualità del progetto ed in particolare penso che la città ed i suoi vuoti siano campo possibile di sviluppo per il design.

Il vaso. Pochi hanno avuto l'occasione di confrontarsi progettualmente con un archetipo formale ultra-centenario come il vaso di terracotta. Ancora una volta il tuo intervento nei prodotti Serralunga chiarisce quanto sia ampio lo spazio in cui un designer può esprimere la propria tensione creativa. Personalmente ho avuto occasione – sia nelle numerose Banche in Toscana progettate da Massimo Mariani, sia in alcuni locali arredati da Aldo Cibic – di notare la grande flessibilità d'uso delle differenti taglie di Vas-one. In certi casi generando trappole percettive di sicuro effetto – il fuori scala, la contaminazione fra interno ed esterno, ecc. – negli ambienti in cui vengono utilizzati dai progettisti.
Credo che il successo di questo prodotto, come anche di Kabin, nati consapevolmente dalla volontà di tradurre in oggetto di produzione industriale una forma conosciuta – diffusa e già realizzata altrove in versione fuori scala ma con modalità artigianali o artistiche –, derivi dal fatto di essere rassicurante e provocatorio al tempo stesso. È un oggetto noto, quindi come tale viene immediatamente accettato, ma si propone in una dimensione fuori scala creando un effetto pop e quasi straniante. Il risultato è divertente, la novità non spaventa ed anzi attrae positivamente l'attenzione. Le persone lo interpretano e lo utilizzano sia come vaso sia come oggetto/scultura; in particolare negli spazi non residenziali risolve l'arredo dello spazio e fa sentire come a casa anche in spazi altrimenti anonimi e troppo vasti. Il suo essere fuori scala serve ad armonizzare la dimensione dello spazio circostante che diventa così uno luogo conosciuto attraverso un oggetto familiare.

Da ormai qualche anno in quasi tutte le aziende la visione d'insieme della serie produttiva ha assunto un rilievo del tutto peculiare. Le imprese percepiscono che oggi, per comunicare l'identità di un qualsiasi prodotto, occorre differenziarsi sul piano del sistema azienda nel suo complesso piuttosto che sul singolo progetto innovativo. In tale contesto assumono così rilievo tutte quelle specificità, materiali, cromatiche e sensoriali che contribuiscono alla definizione di uno stile complessivo, di un plus emozionale, affettivo, che costituisce lo sfondo necessario a rendere comprensibile e comunicabile il prodotto finale. Riallacciandomi al tema di genere, parrebbe quasi che oggi si aprano grandi spazi e necessità per un nuovo sguardo femminile rivolto alla produzione nel suo complesso – nella sua complessità –, sguardo in grado di filtrare le continue tensioni all'innovazione con tematiche "antropologiche" assai più lente e consolidate...
Si credo anch'io che i tempi siano maturi per un'interpretazione più femminile dell'approccio di azione sul mondo. Tutto è stato conquistato, violentato, posseduto, la natura è stata sottomessa e l'uomo ha nelle proprie mani il dominio del mondo. Forse ora è giunto il momento di averne cura con una attenzione maggiore all'ascolto delle cose e delle persone che ritengo faccia parte della sensibilità femminile. Non è un caso che questo atteggiamento stia lentamente affacciandosi alla luce e credo si dispiegherà con molta forza e con ricadute positive per tutti.

Al di là del modo normale di concepire architettura e design nella sua totalità, vorrei capire se per te è possibile attribuire a spiritualità ed energia di un luogo una sorta di plus valore dell'opera umana. Quindi, e soprattutto, anche le sensazioni che possono suscitare; in base al colore, all'anima del materiale, gli odori, il rapporto luce/ombra. La decisione di farti questa particolare domanda è legata direttamente al tuo interesse per il Cimitero Monumentale di Oropa, vicino a Biella, su cui hai recentemente scritto un libro e che, personalmente – soprattutto dopo aver conosciuto ed ascoltato l'esperienza al Santuario della studiosa Carla Sanguineti –, mi sono ripromessa di visitare al più presto.
Credo che si debba amare profondamente ciò che si fa e che questo venga percepito… sono addirittura sopraffatta dall'amore per le case e le architetture, tanto che per me passeggiare in un qualsiasi contesto costruito equivale mentalmente ad entrare in una tensione progettuale. Così mi sono trovata a realizzare un piccolo libro sul Cimitero di Oropa solo per il desiderio di comunicare e rendere evidente ad altri la bellezza del luogo. Bellezza che io trovo straordinaria nonostante sia un luogo non propriamente turistico. In realtà io lo vivo e lo percepisco come un vero museo a cielo aperto che racconta l'evoluzione di un secolo e mezzo di architettura.

In qualità di relatore sei stata invitata in numerosi convegni e congressi nazionali ed internazionali sui temi dell'architettura e del design. Come libera professionista e designer, sei stata chiamata a tenere lezioni presso le università di Architettura e di Design di Torino, Milano, Venezia. Sei stata correlatrice di quattro tesi di laurea in Disegno Industriale e due ad Architettura, nonché titolare di alcuni workshop come docente esterno. Che idea ti sei fatta dunque della nuova generazione di designer? Qual è il vero significato di questo lavoro, oggi?
Vi sono attualmente molte opportunità e facilitazioni per gli studenti, ma anche una scarsa curiosità da parte loro di conoscere in profondità la storia dell'architettura e del design. Fondamentale invece per chi voglia fare bene questo mestiere. Mi sembra che gli studenti siano un po' troppo incanalati nel corso degli studi e non venga loro più richiesto di fare percorsi di ricerca che mettano alla prova la capacità di trovare stimoli nuovi. Penso che molti si accontentino della forma ubriacati dalle possibilità estetiche fornite dal mezzo grafico del computer, senza chiedersi quanto una nuova, ennesima, forma abbia o meno una reale necessità di esistere.

Noto anche nella tua carriera altre due esperienze caratterizzanti e particolari: il concorso Cioccolato e Design – di cui eri presidente di giuria –, e la più singolare mostra presentata al Fuori Salone 2007 Orecchietta, forma e funzione: dalla gastronomia al design, dal gusto all'immagine – alla quale hai partecipato insieme ad oltre settanta designer, molti dei quali under 35. Cosa è venuto fuori dal vivere questo "dolce" lato del design?
Che il food design è un altro ambito possibile di azione. Il cibo può essere buono ed al tempo stesso anche più bello. Perché non poter avere un'emozione anche estetica da un prodotto che mangiamo? La confezione, la dimensione, la forma, oltre al gusto ed al profumo, sono parte di ogni prodotto. Ci sono opportunità di ricerca in questo ambito. Un progetto come quello dell'orecchietta è riuscito a catalizzare attenzione perché è stata vincente la formula di coinvolgere giovani designer ed artisti a cimentarsi su un tema fuori tema.

Anche sulla scorta dei contributi di partecipanti del calibro di Gillo Dorfles ed Anty Pansera, come sintetizzeresti le tematiche e le conclusioni emerse dal convegno Dove va il design? – svolto da poco nella città di Alessandria? Su cosa si basano le prospettive ed il futuro del design di qualità analizzate in quella occasione?
Si è parlato di costo del design, di valore reale e valore percepito, di contrapposizione tra lusso ed Ikea. Una contrapposizione, a mio avviso, fittizia in quanto si dimentica che il design di per sè nasce dalla volontà di dare al maggior numero di persone uno standard estetico elevato. Ikea gioca questa partita puntando sul basso costo di produzione, realizzando prodotti in paesi dove la manodopera è meno cara ma anche sfuttanto le enormi potenzialità della copia semplificata di prodotti storici del design. Questo, secondo me, non significa che il design cessi di avere un valore più alto; Ikea diffonde un facile atteggiamento di accesso al prodotto contemporaneo ed in fondo educa ad una nuova estetica un numero sempre maggiore di persone. Ma il valore di un prodotto di design, concepito e progettato per essere innovativo, comprende un lavoro di interpretazione e di risoluzione più complesso che risulta evidente e giustifica un costo diverso. Sono due mercati non in competizione che possono ancora coesistere. Si è poi parlato di spazi dedicati ai designer stranieri ed italiani e personalmente penso che le aziende italiane dovrebbero essere oggi più aperte al coinvolgimento dei designer italiani dimenticando per un attimo che il nome straniero sia sempre così accattivante. La differenza è determinata dagli investimenti che le altre nazioni indirizzano nell'appoggio e sostegno dei nuovi designer e delle scuole con operazioni da noi inesistenti o non visibili (penso ad esperienze come VIA e ad Ecal) che penalizzano sul mercato i nostri talenti.



Luisa Bocchietto
Salita di Riva, 3
13900 Biella (BI)
phone +39 015 23130
fax +39 015 2451322
mobile +39 347 0302772
info@luisabocchietto.it

Serralunga
www.serralunga.com


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

 ulteriori informazioni » 



a cura di: 
Federica Capoduri 


 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
Presidente ADI
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.

XII.
XIII.

XIV.
XV.

XVI.
XVII.

XVIII.

ha collaborato:
Martin Rance
Umberto Rovelli




TOP