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 SINERGIA COME NECESSITÀ
 intervista a Mauro Cozzi (ISIA, Università di Firenze)


In molti si sono interrogati sui motivi del successo del design italiano nel mondo: recentemente Andrea Branzi lo riconduceva ai continui ostacoli, organizzativi, economici, politici che ha dovuto da sempre superare. Forse, più giustamente, il motivo principale del contributo dell'Italia risiede nel ruolo decisivo per lo sviluppo economico esercitato dai contesti territoriali...

La tesi espressa da Branzi, quasi "per aspera ad astra", non è certo nuova. Paolo Fossati nel suo Il design in Italia 1945-1972, trent'anni fa, insisteva su questo concetto. Non si può, mi pare, dar torto né all'uno né all'altro, e nemmeno a tanti storici che hanno benissimo evidenziato le difficoltà politiche, economiche, organizzative di tutta la progettualità italiana. Vorrei però sottolineare il peso di un luogo comune (non necessariamente i luoghi comuni sono falsi), l'essere, cioè, l'Italia il paese dell'arte e degli artisti; l'accreditamento, a tratti anche 'intraprendente', che l'800 e il primo '900 seppero fare di queste idee a livello internazionale. Non penso tanto a manifestazioni d'alto profilo; penso, al gran numero di operatori minori; per dire, fino al successo che ebbero in Australia i busti in alabastro di Rodolfo Valentino, fatti a Volterra negli anni Venti o al pregio dei nostri ebanisti nel Nord d'Europa o nelle Americhe.
Da molto tempo quindi il valore aggiunto dell'Arte è per l'Italia una risorsa. Anche economica. Non sempre questo fatto è stato capito fino in fondo, per via di una certa separatezza di valutazioni. Ad esempio tra gli storici dell'arte e quelli dell'economia. Anche politici e amministratori hanno via via considerato la brulicante operosità degli artigianati artistici quasi come episodi di folklore e poi, come valori in estinzione da proteggere o quali corporazioni un po' anacronistiche, da accontentare. Di sicuro non come fenomeni passibili di grande e attuale sviluppo. Anche, bisogna riconoscere, per la stessa riottosità degli operatori a consorziarsi in azioni estese e pianificate di aggiornamento, di formazione, di promozione e via dicendo.
Nel percorso dall'industria artistica al design, è mancata una consapevole pianificazione. Nel Bel Paese dei cento campanili, non c'è stato insomma un Werkbund, ci sono stati (e ancora in parte resistono) i distretti produttivi che con varia fortuna hanno svolto questo ruolo senza però suscitare una vera e condivisa politica nazionale nel settore.
Potremmo aprire un discorso sulla formazione: ad esempio, sulla recentissima legge di riforma delle Accademie, dei Conservatori e – guarda caso – degli ISIA... a conferma di una ottusità che impavida, persiste. Ma per carità di patria, lasciamo stare.


In Toscana, forse più che altrove, un forte legame tra tradizione ed innovazione appare decisivo... La Toscanità, inoltre, appare un importante valore aggiunto da spendere su alcuni mercati maturi – si pensi, per citare gli esempi più eclatanti, agli Stati Uniti o al Nord Europa. Di contro il panorama produttivo toscano è apparso nel tempo troppe volte incapace di sfruttare tale opportunità...
Della pregressa (e attuale) avventura della Toscana credo di aver capito delle cose, facendo ricerche per il mio libro su L'industria dell'arte nonché lavorando alla Rete Regionale per l'Innovazione Formale. Mi fa un po' uggia insistere ancora sulla Toscana. Mi pare che la sua molteplice industriosità abbia rappresentato e rappresenti, nel bene e nel male, un paradigma per tante regioni italiane. Un luogo pieno di risorse – la Toscana e le toscane – che non sappiamo sfruttare, che non sappiamo del tutto coniugare con fenomeni epocali pure evidenti, evidentissimi: dai beni culturali, all'agriturismo, dall'immigrazione, al design autoprodotto, ad una formazione professionale (anche universitaria) degna di questo nome.

Hai citato il progetto di Rete Regionale per l'Innovazione Formale, illustracene brevemente i contenuti.
Per testimoniare in stretta sintesi, le buone intenzioni della RRIF, ti inviterei a pubblicare il suo "manifesto" che peraltro tra breve sarà in rete, nel sito della Regione Toscana.
Addosso a questo vorrei solo ribadire che c'è bisogno assoluto di innovazione tecnologica e formale, là dove quest'ultima significa "processo", un processo, anche istituzionale, di accordo che si sforzi di essere trasversale rispetto agli interessi corporativi, alle specializzazioni disciplinari, alle inerzie burocratiche, al semestrale ricambio di 'umori' politici. Mi rendo conto che è un auspicio ingenuo. Una specie di "Paese dei Campanelli". Eppure bisogna crederci se si vogliono produrre idee. Ecco, potremmo immaginare la RRIF, come una 'condivisa fabbrica delle idee'. E vorrei anche sottolineare che il gruppo di lavoro che da circa un quinquennio è attivo per la 'causa' RRIF, è una risorsa. Bisognerebbe essere tanto bravi da non ingessarlo sul progetto di fattibilità (quello stampato dalla Regione che, ci tengo a sottolinearlo, è a disposizione di tutti: basta richiederlo) ma di farlo proseguire in azioni agilmente dirette, a questo o quel settore; e a far scaturire queste 'azioni' dal "basso", come si è scritto, dando seguito alla domanda di progetto che esplicita o implicita, proviene dalle imprese e dagli operatori.


Attraverso il tuo lavoro all'ISIA, insieme ad altri colleghi, sei entrato in contatto con diverse realtà produttive toscane promuovendo le tematiche dell'innovazione formale: dall'alabastro di Volterra, alla Ceramica di Sesto Fiorentino, Montelupo ed Impruneta, alla pietra serena di Fiorenzuola... Illustraci qualche peculiarità di tali interventi.
Mi chiedi delle diverse iniziative dove con l'ISIA ed altri colleghi sono stato coinvolto e delle loro peculiarità. Potrei risponderti dicendo che non ci sono peculiarità. Ovvero che, caso per caso, ce ne sono moltissime, troppe per poterle raccontare qui efficacemente. Posso dirti che tali iniziative hanno tentato di conformarsi ai metodi della RRIF e a quelli che sono i suoi tipici ingredienti: innovazione e tradizione, pazienza nell'esplorare e nel ricostruire le singole storie, trasversalità di pensiero organizzativo e progettuale, attenzione alle risorse locali ma anche al fronte dell'Europa, e dal disegno al ridisegno dei prodotti fino al mercato, una sorta di autolimitazione nell'immettere progetto solo là dove serve.
Queste iniziative, mentre la rete era in preparazione hanno contribuito a metterla a punto e a testarla. Ma la RRIF, in quanto "rete" è aperta, integrabile. Non è necessario condividerne ogni passaggio. Può essere applicata per parti e, dall'organizzazione agli obiettivi, tarata caso per caso. E' necessario casomai condividerne lo spirito di collaborazione, tenendo presenti le potenzialità che possono scaturire da una visone di campo allargata oltre l'ottica paesana, localistica.
Ad illustrare la genericità di queste chiacchiere, due immagini. Il Bozzetto per la decorazione di un piatto che con una chiara impronta pontiana, data 1932. Proveniente dalla Manifattura Egisto Fantechi, fa parte della collezione dell'Archivio della Ceramica Sestese: una bellissima iniziativa avviata in tutta autonomia qualche anno fa ma perfettamente sintonizzata con lo spirito di questa RRIF. E la Colonna sonora, una tintinnambulante fontana in pietra serena e bronzo, realizzata nel '99 su progetto di Lorenza Anconetani (studentessa al III anno dell'ISIA) per gli industriali di Firenzuola, nell'ambito di una iniziativa che è in corso in quel distretto e su quel materiale. L'iniziativa prevede interventi e approcci di vario tipo: dalla creazione di un ambizioso abaco delle forme storiche e degli strumenti della pietra, al progetto contemporaneo, dal dialogo con altri distretti produttivi, alle nuove tecnologie, al rapporto che stiamo costruendo con la rete dei Musei territoriali del Mugello. La peculiarità – se così si può dire – di questa come di altre iniziative 'associate' alla RRIF, consiste nella consapevolezza che essa deve mantenere, di se stessa e del concorrere di vari contributi ad un unico fine: nella fattispecie la qualità e il rilancio della pietra e del suo progetto. In un'epoca e in una società schizofrenicamente specializzata e parcellizzata, c'è bisogno di una regia: potremmo chiamare la RRIF "sinergia", coordinamento; ovvero "azione politica", almeno finché saremo sorretti dal convincimento che il lavoro che abbiamo intrapreso può trovare gradimento da parte delle imprese.


Testo:
Giuseppe Lotti

I.
II.
III.
IV.
V.
VI.

ha collaborato:
Elena Granchi
Sonia Morini




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