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 56. BIENNALE DI VENEZIA - ALL THE WORLD'S FUTURES
 Esposizione Internazionale d'Arte 2015


a cura di Gabriella Masiello

La Biennale di Venezia 56. Esposizione Internazionale d'Arte giunge al 120mo anno dalla prima Esposizione (1895) e Paolo Baratta cosě introduce questa edizione: «Dopo Bice Curiger che ha sviluppato il tema della percezione, dell'ILLUMInation, della luce come elemento autonomo e vivificatore, e Massimiliano Gioni che con il suo Palazzo Enciclopedico ha osservato il fenomeno della creazione artistica dall'interno e le forze interiori che spingono l'uomo e l'artista a creare immagini e a dar vita a rappresentazioni, la Biennale torna a osservare il rapporto tra l'arte e lo sviluppo della realtŕ umana, sociale, politica, nell'incalzare delle forze e dei fenomeni esterni. La Biennale ha chiamato Okwui Enwezor anche per la sua particolare sensibilitŕ a questi aspetti».
L'intervento di Okwui Enwezor chiarisce anche il titolo dell'operazione All the World's Futures:

«C'č un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si č impigliata nelle sue ali, ed č cosě forte che egli non puň chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciň che chiamiamo il progresso, č questa tempesta».
Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, 1940

Una Biennale dunque di ispirazione storica e politica, guidata da un atterrito angelo della storia che di certo non offre una visione del futuro rassicurante, né lascia intravedere molti spazi dove far germinare il seme dell'Utopia.
Č un'atmosfera catastrofica e a tratti francamente lugubre quella che pervade l'intera esposizione (con qualche felice eccezione). In questo apocalittico ed elaborato elenco di ingiustizie, disastri, terribili realtŕ presenti e future, un diffuso e ricorrente senso della morte sembra incombere su quasi tutti i possibili mondi a venire. Aria di crisi e denunce, ma anche di attenzione verso temi ineludibili come ad esempio il nostro rapporto con l'ambiente che č veicolato prevalentemente da artiste di diverse latitudini e longitudini culturali che se non salveranno il mondo almeno sembrano aver salvato, in parte, questa Biennale.

Il primo incontro č con una delle enigmatiche statue bianche su base nera disseminate ai Giardini del Raqs Media Collective e realizzate in bitume e paraffina, forse a ricordarci la nostra dipendenza dagli idrocarburi.
L'ingresso al Padiglione appare paludato a lutto dai drappi neri dell'installazione di Oscar Murillo e di Glenn Ligon Bruise/Blood/Blues. All'interno fronteggiata da una parete di vecchie valigie, una scala altissima sembra puntare verso la cupola celeste, sono le intense sculture di Fabio Mauri attorniate da quadri in bianco e nero recanti la scritta Fine.

Al cuore del Padiglione Centrale dei Giardini All the World's Futures presenta ARENA, uno spazio attivo incentrato sull'imponente lettura dal vivo dei tre volumi di Das Kapital (Il Capitale) di Karl Marx senza soluzione di continuitŕ...
Una rinfrescante nota azzurra scaturisce dalle suggestive superfici chimicamente corrugate dall'acqua e dal sole mediterraneo de La Muralla Azul di Runo Lagomarsino.
Dopo l'installazione di Thomas Hirschhorn si fanno ricordare i lavori vigorosamente espressivi dell'artista peruviana Teresa Burga.
Una delle installazioni video piů evocative, con una donna che procede a fatica sempre piů gravata da un carico crescente, č The End of Carrying All firmata dall'artista keniota Wangechi Mutu, in una Biennale di impostazione politica č una delle opere che piů colpisce nel segno perché, se la povertŕ flagella il cosiddetto Terzo Mondo, chi ne subisce il prezzo piů tragico sono soprattutto le donne, peraltro, non cosě tanto rappresentate in questa edizione (tanto per non cambiare).
Dopo Victor Man la realtŕ e la surrealtŕ del lavoro si condensano nelle fotografie di Andreas Gursky che ne rappresentano l'alienazione collettiva e nei dipinti dello scomparso Tetsuya Ishida dove i lavoratori sono ridotti ormai essi stessi a oggetti inanimati da montare e smontare come pezzi di ricambio.
Mentre Marlene Dumas ritrae volti tragici, teschi urlanti tra pittura e foto reali elaborate.
Arriviamo poi a un intermezzo di vibranti policromie di ispirazione africana per i grandi dipinti di Kerry James Marshall che si interroga sull'identitŕ e sulla predominanza della cultura visiva dei bianchi e a Blue Sail, il fluttuante velo blu di Hans Haacke prima di tornare alla dura realtŕ e precarietŕ del mondo produttivo con Jeremy Deller e il suo manifesto che recita Hello today you have day off ovvero l'Sms che riceve il lavoratore quando non viene convocato.

All'Arsenale la mostra prosegue come una ulteriore sorta di discesa agli Inferi iniziando dall'installazione di Ibrahim Mahama che tappezza e impregna anche olfattivamente il percorso del troncone dell'Arsenale con migliaia di scuri sacchi di iuta. Onnipresenti nei mercati del Ghana ma prodotti in Oriente, sono stati cuciti insieme da una rete di persone. Ogni sacco rappresenta una merce, una storia, una famiglia, le dure leggi del mercato e della globalizzazione.
Di grande effetto e complessitŕ č The Portrait of Sakip Sabanci di Kutlug Ataman commissionato per celebrare i dieci anni dalla scomparsa del magnate e filantropo turco Sakip Sabanci. La grande installazione, che ha richiesto tre anni di lavoro per la realizzazione, č costituita da diecimila piccoli LCD che ritraggono i volti delle persone che hanno incrociato il suo percorso durante la sua vita.
Impietosamente Georg Baselitz si offre con otto autoritratti titanici del suo corpo nudo e tormentato alti cinque metri. La cruda veritŕ della nostra caducitŕ, una potente e cromaticamente eccelsa pittura che ci schiaffeggia e naturalmente ci ricorda che dobbiamo morire.
Maja Baievic con The Unbelievable Lightness of Being sembra riconsegnarci ad un mondo piů rassicurante, quello fatto dalla abilitŕ artistica e artigianale delle donne bosniache, dal ricamo e dalla tessitura. Ma cosě non č, le sue creazioni riportano le oscillazioni dalla borsa e le quotazioni delle merci alimentari e si interrogano su come far sopravvivere le eccellenze e le pratiche tradizionali annientate dall'omologazione del mercato globalizzato.
Mentre i Transactional Objects in legno della coppia Rupali Gupte & Prasad Shetty compaiono ogni tanto lungo il percorso.
In forza delle sue esperienze musicali Jason Moran ricrea l'atmosfera di vecchi club americani quando i musicisti, spesso neri, suonavano a stretto contatto con il pubblico nonstante le leggi razziali. L'installazione Staged: Savoy Ballroom 1 ci consegna un frammento di quel mondo.
Non tragga in inganno l'estrema delicatezza e grazia delle mappe di Tiffany Chung perché esse documentano i luoghi dove sono avvenute guerre, colonizzazioni, esodi, traumi culturali. Dal 2011 sta lavorando al Syrian Project, un modo per elaborare anche la sua personale tragedia del Vietnam.
Dopo una pausa per il poetico video di Christian Boltanski incontriamo le eleganti teche del cubano Ricardo Brey frutto di un sincretismo culturale che mette insieme la coscienza delle sue radici afroamericane e una forte critica al consumismo, la sua installazione echeggia l'Arte Povera ma anche l'alchimia.
Superate le scritte verticali di Harry Newell i fogli infilzati di Eduardo Basualdo e la chiassosa installazione di Katharina Grosse incontriamo l'immancabile Bruce Nauman.
Fra le cose piů pregevoli e che si fanno ricordare all'interno dell'Arsenale figura il Padiglione della Repubblica del Kosovo con la poetica installazione di Flaka Haliti Speculating on the Blue: una stanza col pavimento ricoperto di sabbia blu (per la gioia dei bambini di tutte le etŕ) dalla quale si ergono frammenti di recinti e barriere inutili che svelano l'assurditŕ di confini arbitrari in un mondo che non dovrebbe averne. Come non conosce confini il mare: il Padiglione Tuvalu lancia il suo SOS, l'isola del Pacifico rischia di scomparire insieme a molte altre per la frequenza di catastrofici eventi atmosferici ma soprattutto per l'innalzamento del livello degli oceani. Crossing the Tide di Vincent J. F. Huang consiste di una passerella leggermente sommersa che i visitatori devono attraversare con attenzione.
Anche il commovente Padiglione IILA Istituto Italo Latino Americano affronta il tema della scomparsa con l'installazione sonora Voces Indígenas. Si avverte entrando un indistinto mormorio che diventa sempre piů chiaro avvicinandosi agli altoparlanti che ci restituiscono le voci e le parole delle lingue e dei dialetti di tribů, gruppi etnici, popolazioni sudamericane indigene. Il brusio di millenarie tradizioni che si stanno estinguendo.

Da dove veniamo e dove ci porterŕ il nostro viaggio da umani sono gli interrogativi posti da Heri Dono che con Komodo Voyage ha creato una gigantesca figura fantastica ispirata a Komodo, il piů antico dragone dell'Indonesia, ma che č dotato al suo interno di moderni dispositivi tecnologici per la visione.
Anche il Padiglione Italia curato da Vincenzo Trione si allinea a quel vento oscuro che sembra spirare all'Arsenale. L'elegante e raffinato rigor mortis di Codice Italia che allude alla memoria e al nostro DNA artistico si manifesta anche in chi come William Kentridge, Peter Greenaway e Jean-Marie Straub l'Italia la amano e che sono stati invitati a dedicarle un tributo. La memoria di uno splendido ma ingombrante passato non sembra fecondare il presente. Codice Italia sembra incatenarci in spazi angusti di incomunicabilitŕ.
Gli unici sprazzi di autentica vitalitŕ e prospettiva sembrano scaturire solamente dalle uniche due artiste donne, su 15 partecipanti piů i 3 stranieri, Vanessa Beecroft e Marzia Migliora che svettano sul resto della pur onorevole compagnia. E questo la dice lunga sulla misoginia che affligge il panorama artistico e sociale del Belpaese.
Lo splendido allestimento di Beecroft, un giardino di statue di donne realizzate con differenti pietre e marmi si lascia solo spiare dietro a due pareti di marmo, mentre Migliora riflette e ci fa letteralmente riflettere dall'armadio con lo specchio della sua memoria, dove il giallo oro di un mare composto da vere pannocchie di granturco inonda la sua stanza segreta dei ricordi.

Ai Giardini diversi Padiglioni Nazionali ci fanno tirare un sospiro di sollievo e forse di speranza.

Abbagliante e tutto da decifrare il bianco quasi assoluto di Global Myopia II (Pencil & Paper) di Marco Maggi che rappresenta l'Uruguay. Le matite nere che tendono archi come frecce, le pareti istoriate da migliaia di lettere dell'alfabeto ritagliate con certosina pazienza… nel suo minimalismo č uno dei padiglioni piů eloquenti, poetici e spiazzanti.
Insieme a quello del Giappone che, completamente all'opposto, č uno dei piů magniloquenti e visionari The Key in the Hand di Chiharu Shiota ci avvolge in un monumentale intrigo di fili rossi che partendo da due barche arcaiche portano appese migliaia di chiavi, enigmatiche chiavi in mano. Come quelle tenute da una bambina ritratta in foto a suggerire un ponte ideale tra passato e futuro.
La complessitŕ di Wrong Way Time di Fiona Hall per l'Australia meriterebbe un capitolo sé: una moltitudine di opere ed oggetti variamente trasformati banconote, orologi, atlanti, teche, giornali, animali e foglie e ticchettii ci immergono in un mondo oscuro che si interroga sul nostro presente, dominato dalla finanza e dalla follia umana, e dell'impatto futuro sull'ambiente.
Altrettanto organica appare anche l'installazione multimediale degli Stati Uniti d'America realizzata da Joan Jonas che, con They Come to Us Without a Word, riflette sulla fragilitŕ delle creature viventi a fronte della minaccia dei veloci cambiamenti e ce ne restituisce frammenti, disegni, canti, fantasmi.
Anche la Repubblica di Corea getta un ponte immaginario verso il futuro con il video multicanale The Ways of Folding Space & Flying che evocando 2001 Odissea nello Spazio, ma con protagonista una ragazza, ripercorre le tappe della civilizzazione e del desiderio umano del volo, della levitazione, dell'oltrepassare i confini, cosa che per Moon Kyungwon & Jeon Joonho č preciso compito dell'arte.
Anche per Israele con Tsibi Geva | Archeology of the Present il tema dell'andare oltre gli spazi e i significati č centrale. All'interno ci si confronta con l'illusoria stabilitŕ dell'ambiente domestico mentre l'esterno viene coinvolto e trasformato da una geometrica parata di copertoni neri.
Atmosfera rarefatta e sonora per l'Ungheria, che presenta Szilárd Cseke a interpretare le diverse e affascinanti Sustainable Identities. Una palla bianca rotola lentamente spinta da una ventola all'interno di tubi trasparenti che percorrono in alto gli spazi espositivi. Un cuscino gigantesco altrettanto trasparente sembra respirare ritmicamente. Anche i visitatori sono chiamati a lasciare un segno della loro identitŕ su due lavagne poste nello spazio centrale aperto.
La Revolutions francese di Céleste Boursier-Mougenot anima e libera tre alberi dall'attaccamento alla terra. Infatti lentissimamente con un sottofondo musicale, secondo i loro ritmi naturali, gli alberi completi di terra e radici si muovono all'interno e all'esterno del Padiglione. Una poetica riflessione sulla fragilitŕ dell'ecosistema.
Che effetto avranno sul nostro corpo e la nostra psiche gli innumerevoli materiali e sostanze artificiali che impregnano la nostra realtŕ? Our Product, della svizzera Pamela Rosenkranz indaga su queste domande utilizzando liquidi sintetici, tecniche mediche e luci che alterano i sensi e i luoghi come il verde diffuso del primo ambiente che prelude all'acquatica installazione centrale sorprendentemente e totalmente immersa in un sintetico rosa carne, il colore del corpo. Artificiale e affascinante.
Inserite nel giallo brillante dell'ambiente, le sculture di Sarah Lucas, che riproducono con realismo parti di corpi irriverentemente penetrati da sigarette, rimandano alla sua ricerca sugli stereotipi sul genere e sulla sessualitŕ con un'ironia e un gusto tutti britannici.
Il tema del colore, come ad esempio il verde, č elaborato dal Padiglione Russia con The Green Pavilion di Irina Nakhova che sottolinea come la visione sia influenzata dal contesto socio-culturale e che dunque sia soggetta a inevitabili cambiamenti.
Herman De Vries per l'Olanda ci accoglie con un romantico tappeto di roselline secche profumate e prosegue con raccolte ordinate di campioni naturali, frammenti che raccontano con suoni, colori, profumi il suo personale manifesto poetico per to be all ways to be: La Natura č Arte.
Ma la Natura č anche lotta per la sopravvivenza delle specie, Adrian Ghenie per la Romania, con la sua Darwin's Room, buona pittura di sapore baconiano, trae lo spunto dall'evoluzione biologica per indagare sulla sua capacitŕ di trasformare anche le societŕ.
Per la greca Maria Papadimitriou il nostro antropocentrismo relega gli animali e non solo, purtroppo, al rango di cose da sfruttare. La sua convincente installazione Why Look at Animals? AGRIMIKÁ ricostruisce fedelmente un laboratorio di pelletteria e trofei animali, realmente esistente in Grecia, proponendoci una riflessione tra etica ed estetica, politica e tradizioni, crudeltŕ e sopravvivenza.
La parola pace (Peace), che in arabo significa paradiso o anche giardino, č formata dall'ordinata installazione Can You See degli egiziani Ahmed Abdel Fatah, Gamal Elkheshen, Maher Dawoud che con una sorta di percorso verde fornito di tablet per la realtŕ aumentata, permettono di vedere interattivamente immagini in movimento di animali o fiori.
Al contrario il Padiglione della Serbia č stato trasformato in un cimitero di vecchie bandiere con le date delle innumerevoli guerre che abbiamo conosciuto e che spesso rappresentano Stati che non esistono piů: sono le United Dead Nations di Ivan Grubanov.
Antonio Manuel, André Komatsu, Berna Reale per il Brasile, con l'installazione So much that it doesn't fit here ispirata a uno slogan di protesta, contrappongono la libertŕ dell'arte alle dure coercizioni esercitate dalla politica. Le aperture praticate nelle pareti colorate invitavano irresistibilmente i visitatori grandi e piccoli ad attraversarle.
Fuori dai Padiglioni e incastonate nel verde dei Giardini, sembrano osservarci, dall'alto come testimoni silenziose, le monumentali orchidee realisticamente riprodotte dell'artista tedesca Isa Genzken che, oltre a un suggestivo richiamo verso la bellezza della natura, intende forse polemizzare con il formalismo della Bauhaus che ignorava la bellezza dei fiori.
Ed infine ancora fiori, ma stavolta luminosi, entrando in quella sorta di serra oscura che č lo Swatch Pavilion affidato alle cure dell'artista portoghese Joana Vasconcelos che ha creato il suo Giardino dell'Eden con un labirinto marcato da aiuole fiorite che brillano cangianti nel buio un po' indicando e un po' confondendo il percorso.



56. BIENNALE DI VENEZIA
All The World's Futures

Venezia, Giardini - Arsenale, Varie sedi
 09 MAY - 22 NOV. 2015 
from tuesday to sunday: 10.00 - 18.00 | closed on mondays
www.labiennale.org

may-nov. 2015, Venezia 
text: Gabriella Masiello 


0.
Okwui Enwezor, Direttore del settore Arti Visive – la Biennale di Venezia. Curatore della 56. Esposizione Internazionale d'Arte - All The World's Futures | Venezia 2015. photo by: Giorgio Zucchiatti
Raqs Media Collective / Coronation Park / 2015
I.

II.
Runo Lagomarsino / La Muralla Azul / 2015
Rudolf Steiner / Disegni su lavagna / 1923 ca.
III.

IV.
Anna Zemánková / Senza titolo / primi anni 70 ca.
Hilma af Klint / The Dove, no. 12, Series UW / 1915 | Courtesy The Hilma Af Klint Foundation
V.

VI.
Augustin Lesage / Composition symbolique sur le monde spirituel / 1923
Aleister Crowley, Frieda Harris / Atu n° VIII - Aggiustamento | Queen of Cups / 1942
VII.

VIII.
Autori anonimi / Dipinti tantrici - selezione / 1995 ca.
Not Vital / 700 Snowballs / 2013
IX.

X.
Jean-Frédéric Schnyder / Apocalypso / 1976-78
Marisa Merz / Senza Titolo / 2013
XI.

XII.
Thierry De Cordier / Mer Montée / 2011
Roger Caillois / Collezione di 178 pietre dure - Ametista con cristalli / ...
XIII.

XIV.
Artur Zmijewski / Blindly - video HD / 2010
Titarubi | Albert Yonathan | Sri Astari / Sakti - Padiglione Indonesiano / 2013
XV.

XVI.
Oliver Croy e Oliver Elser / The 387 Houses of Peter Fritz (1916-1992), Insurance Clerk from Vienna / 1993-2008
Morton Bartlett / Senza titolo - bambola / 1960 ca.
XVII.

XVIII.
Achilles G. Rizzoli / The Shaft of Ascension / 1939
Peter Fischli, David Weiss / Mick Jagger e Brian Jones vanno a casa soddisfatti dopo aver composto <em>I can't get no Satisfation</em> / 1981
XIX.

XX.
Shinro Ohtake / Scrapbooks n° 8 / 1978
Pawel Althamer / Venetians / 2013
XXI.

XXII.
Charles Ray / Fall '91 / 1992
J.D. ’Okhai Ojeikere / Abebe / 1975
XXIII.

XXIV.
Bruce Nauman / Raw Material With Continuous Shift MMMM / 1991
Paul McCarthy / Children’s Anatomical Educational Figure / 1990 ca.
XXV.

XXVI.
Yoko Ono</span> / Arising / 2013
Rosemarie Trockel, Günter Weseler / Fly Me to the Moon / 2011
XXVII.

XXVIII.
Evgenij Kozlov / Senza Titolo - The Leningrad Album / 1971
Walter De Maria / Apollo’s Ecstasy, 1990
XXIX.

XXX.
Walter De Maria / Apollo’s Ecstasy, 1990
Ai Weiwei / Bang - 886 antique stools / 2010-'13
XXXI.

XXXII.
Wang Qingsong / Follow him / 2010
Alfredo Jaar / Venezia, Venezia / 2013
XXXIII.

XXXIV.
Sonia Falcone / Campo de color / 2013
Vadim Zakharov / Danaë / 2013
XXXV.

XXXVI.
Stefanos Tsivopoulos / History Zero / 2013

 




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