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 FRA NYLON E FERRO: IL DESIGN DI LUCIANO GRASSI


Discussa il 1° marzo 2012, la tesi di laurea di Paola Baldassini Luciano Grassi e il design. La collezione monofilo – relatrice Dora Liscia, correlatore Massimo Ruffilli –, costituisce uno dei primi passi in direzione di quell'approfondimento della conoscenza del progetto nella regione Toscana. Qui proposto in forma di denso e puntuale saggio, il lavoro di Baldassini, pone in luce come nel nostro territorio si celi un enorme bacino potenziale per ricerche storico-critiche. Studi che, oltre a rinvenire nuovo «senso» in alcune specificità del «fare prodotto» del secolo scorso, sembrano svelare un lato vincente e di «tendenza» anche nel modus operandi di autori ancora poco noti al pubblico come Luciano Grassi (Firenze, 1927-2008). Designer|architetto nei cui lavori non sarebbe improprio leggere una consapevolezza dei limiti di saturazione del mercato della grande serie industriale intuiti con decenni di anticipo. Nel quadro che Baldassini tratteggia circa la «serie» di prodotti più famosa – ed esposta – di Grassi, emergono infatti i tratti di una lungimirante accortezza strategica sia nella filiera produttiva – mirata a coinvolgere saperi artigianali in «forme» d'avanguardia – sia negli alvei comunicativi e distributivi – le gallerie e i circuiti fieristici della «cultura materiale» – adottati. Visti oggi, essi ci appaiono in impressionante accordo con quanto rilevato da molti autori negli ultimi anni, ovvero: l'attuale emergente ruolo di «talent scouting» delle gallerie, il diffondersi della «Design Art», l'irrobustirsi del settore del «lusso» nonché il recupero del lato «fabbrile» della professione che, senza apparenti contrasti, si coniuga oggi col marcato interesse dei brand dell'alta moda per il limitrofo settore dell'arredo.
Straordinariamente attuali, le
Monofilo rappresentano ormai un «classico» esempio – per molti versi antesignano – di modalità d'approccio al progetto in grado sia di «rivalutare» tradizioni sedimentate sul territorio, sia di rispondere alle emergenti esigenze del mercato furniture contemporaneo con gusto, proporzioni e una precorritrice rarefazione materiale di sapore «eco-minimal» – ovvero (o meglio), in plurisecolare coerenza con la linea della «semplicità» descritta di recente da Andrea Branzi come una delle «sette ossessioni» proprie del Design Italiano.



Descrivere l’attività di Luciano Grassi significa riflettere sull’equilibrio fra tradizione e modernità, sulla possibilità di coniugare un metodo di realizzazione artigianale con una continua attenzione alla sperimentazione formale e alla ricerca di materiali inediti senza mai perdere di vista l’aspetto funzionale. L’architetto e designer toscano (1927-2008) ideatore insieme a Sergio Conti e Marisa Forlani, della serie di sedute Monofilo, socio dell’ADI dal 1982, è poco noto al mondo degli studi, sebbene si fosse dedicato, sin dai primi anni Cinquanta, a progetti che spaziavano dall’ambito prettamente architettonico, al furniture design fino alle creazioni di strutture espositive.


Formazione e principale attività

Il contesto regionale e nazionale fu certamente il palcoscenico privilegiato delle sue iniziative. Grassi, tuttavia, si mosse anche verso esperienze internazionali come si evince dalla sua formazione. Negli anni Cinquanta iniziò gli studi presso la Facoltà di Architettura di Firenze, proprio nel momento in cui le iniziative della città entravano da protagonista all’interno del dibattito sulla didattica del design. Fu a Firenze, infatti, che nel 1958 venne istituita, con Leonardo Ricci e Pierluigi Spadolini, la cattedra di Progettazione artistica per l’industria, il primo insegnamento nazionale della nuova disciplina. Grassi si formò con Leonardo Libera, Italo Gamberini e Giuseppe Gori, vero e proprio precursore delle tematiche del design attraverso il suo corso di Arredamento e Architettura di Interni. Questi sottolineava, in particolar modo, l’eccellente capacità grafica dell’allievo, soprannominandolo "il nuovo Brunelleschi". Quasi contemporaneamente alla formazione toscana, Grassi, concluse il percorso formativo presso la storica Hochschule für Gestaltung di Ulm, riuscendo ad arricchire la preparazione accademica con riflessioni ed esperienze nuove che lo diressero verso una maggiore consapevolezza del proprio fare.

In collaborazione con Sergio Conti e Marisa Forlani, nei primi anni Cinquanta, e successivamente anche con Gastone del Greco, avviò uno studio di architettura, ubicato prima in via dei Servi, poi nella zona compresa fra via dei Serragli e via d’Ardiglione, nello storico quartiere fiorentino di Santo Spirito, all’interno di un palazzo settecentesco restaurato per l’occasione dal gruppo nel rispetto degli spazi originari e delle moderne esigenze di flessibilità. Tale equilibrio fra antico e moderno è riscontrabile nei vari progetti di Grassi, nelle sue idee tese fra arredamento e architettura si coglie l’attenzione a questa corrispondenza: dalle Monofilo create artigianalmente dall’intreccio di un filo di nylon, alle risistemazioni di abitazioni private, quali ad esempio quella di Mario Bonacchi, storico proprietario del negozio fiorentino di design Interform, o quella di Dorotea Balluff, direttrice dagli anni Cinquanta della rivista "Interni", sino al ripristino, sulle colline del Chianti, di una serie di torri medievali e quattrocentesche. Gli interventi nelle case-torri di San Donato in Poggio, di Vertine, di Barbischio e dei Lecchi a Gaiole miravano al recupero della struttura originaria nelle sue caratteristiche più significative, creando con intonaco ed elementi metallici in Orsogril, uno spazio fluido, a colori neutri, in tutta la verticalità della costruzione. Tali proposte valsero a Grassi la presenza del progetto della torre di Vertine all’interno della mostra Crèer dans le crèer, organizzata dal Centre de Creation Industrielle del parigino Centre National d'Art et de Culture G. Pompidou, nel 1986.

La progettazione degli stand fu per Grassi l’occasione per arricchire la riflessione sui materiali. Negli allestimenti espositivi per Anna Purna, DEA, Pitti Casa e Pitti Filati il reticolato metallico veniva reinterpretato al di là del contesto industriale senza mai prevaricare l’oggetto, come Grassi stesso affermava sulle pagine di Omnibook IV, di cui fu curatore.
Gli interessi di Grassi negli anni Cinquanta e Sessanta si rivolsero principalmente al mondo del design e ai progetti per la sistemazione dei quartieri fiorentini di San Frediano e Campo di Marte, firmati anche da Conti, Forlani, Del Greco, Bicocchi e Monsani, per i quali ottenne rispettivamente il III premio e il I premio ex equo. Alla fine degli anni Sessanta le ricerche in ambito architettonico si aprirono al contesto internazionale grazie alla partecipazione, insieme a Conti, Forlani, Monsani, Bicocchi e Baldassini, al concorso Berlino capitale, per la ricostruzione del centro cittadino; il progetto non vinse ma riscosse molti apprezzamenti. Successivamente un altro progetto del gruppo venne selezionato per Les Halles di Parigi.
Nel ventennio successivo prevalsero le attività di restauro delle case-torri e di creazione degli stand espositivi sopra citati, ma l’aggiornamento delle ricerche di Grassi favorì una continua riflessione e circuitazione delle sue idee.


I primi arredi alla Mostra dell’Artigianato di Firenze

La prima parte dell’operato del progettista si declinò, dunque, nel campo dell’arredamento. In tal senso la Mostra dell’Artigianato di Firenze costituì un banco di prova per le proposte di Grassi, Conti e Forlani. Luogo di confronto per la creatività e l’abilità di artigiani e progettisti, la rassegna toscana, dal 1931, sollecitava gli artisti e gli artigiani alla ricerca di uno stile attuale e, allo stesso tempo, favoriva lo studio di soluzioni tecniche nella costruzione di mobili. Annualmente, infatti, venivano indetti concorsi a tema per l’arredamento della casa.
In queste occasioni, nel 1953 e nel 1954, figuravano le prime realizzazioni di Grassi, camera da letto in masonite prima, e cucina in legno dopo prodotte dalla ditta dei F.lli Baratti. La critica dell’epoca sottolineò l’originalità dell’ideazione di questi lavori, in cui è interessante notare il metodo costruttivo componibile e le forme funzionali. Lo scopo era quello di realizzare oggetti di facile assemblaggio dove ogni materiale era usato al meglio delle proprie possibilità per introdurre, infine, semplicità e pulizia formale.

Le sedie della cucina mostravano un affinità formale con Farfalla, la prima sedia della collezione Monofilo. Entrambi i modelli furono progettati quasi contemporaneamente, e sottolineavano nell’uso della medesima forma ellittica incurvata del sedile e dello schienale l’essenzialità della linea e l’importanza dell’ergonomia, tenuta sempre presente pur lavorando con materiali differenti. Nel 1956 il legame tra Grassi e la Mostra dell’Artigianato fu cementato dalla realizzazione in quell’anno delle copertine dei numeri del suo periodico ufficiale, il "Bollettino d’informazione", in cui l’immagine assemblata dal designer univa oggetti d’arte primitiva con vasi esposti nella rassegna.


Progetti per una collezione: esperienze Monofilo

Nel 1954 venivano presentati alla Mostra dell’Artigianato due prototipi della collezione Monofilo Farfalla e Artigianato, sedia e poltrona dall’aspetto "singolare", simili nella tessitura ad una racchetta da tennis, così come riportava un articolo di "Domus", che ottennero il Premio della Giuria proprio perché rifiutavano qualsiasi condizionamento pseudo-tradizionale.
La collezione Monofilo, nei modelli e nelle strutture elaborate da Grassi e soci, riuscì a tradurre nella realtà l’equilibrio fra elementi contrastanti. All’idea di trasparenza e leggerezza che questi oggetti esteticamente proponevano, corrispondeva una forma funzionale, solida ed organica, raggiunta attraverso molteplici sperimentazioni. Monofilo significava costruire con nylon e ferro. Dai rapporti e proporzioni tra questi materiali nascevano le strutture della contemporaneità, assemblate per innovare e accogliere, nuovamente, la figura umana. La serie, progettata fra 1953 e 1966, si componeva prevalentemente di sedute, sedie e poltrone, a cui si affiancavano altri oggetti d’arredo, per un totale di tredici elementi: le poltrone Artigianato (1953-1955), Antiquariato (1962), Fischer (1958) e Cesto (1959), la sedia Farfalla (1953), lo sgabello Triangolo (1959), il divano Silvano (1966), una testiera letto (1953), il letto Solario (1959), un sedile auto (1960), due poltroncine, una senza un nome specifico (1957), e la Napoleone (1956).

Del modello Artigianato vennero realizzate due versioni a distanza di pochi anni, a testimoniare come piccole variazioni e perfezionamenti fossero una prassi comune di questo metodo artigianale. La seconda versione del 1955 ricevette nello stesso anno l’importante Segnalazione del Premio Compasso d’Oro, il primo riconoscimento europeo per industriali, artigiani e progettisti, istituito nel 1954 dal grande magazzino milanese La Rinascente.

Le Monofilo presentavano un’intelaiatura metallica, generalmente neutra o verniciata, entro la quale veniva tessuto il filo di nylon, in un essenziale e fitto intreccio che richiedeva, necessariamente, una capacità artigianale d’esecuzione. Il colore più usato era il bianco, poi il nero, l’acciaio e i toni del blu e del rosso, anche in versione metallizzata. Il filo di nylon di 8/9/10 mm era intrecciato e teso su strutture di tondino di ferro. Il procedimento prevedeva la collaborazione di un fabbro, probabilmente del quartiere di Santo Spirito, che dalla "dima", il modello sagomato, poteva riprodurre la medesima forma. Come opzione venne pensato anche un rivestimento della rete di nylon in panno bianco, grigio o nero. Rimase, invece, solo allo stadio di progetto la possibilità di utilizzare fili di nylon colorati. La ricerca per la realizzazione della collezione Monofilo proveniva da un insieme di componenti diverse: in primis l’idea dell’oggetto come estratto da una forma geometrica o da combinazioni di varie forme geometriche elementari, che doveva aprire ad una facilitazione della costruzione. Tale semplificazione doveva essere favorita dall’uso di materiali di costo non elevato e dalla riduzione degli interventi di manodopera. Per quanto riguarda l’aspetto commerciale Grassi e soci si appoggiavano alla storica azienda fiorentina Paoli, fondata da Emilio Paoli e attiva già nel XIX secolo, che nel corso degli anni Cinquanta era passata agli eredi. Come testimonia Alberto Paoli, nipote del fondatore, la ditta provvedeva alla commercializzazione e non alla produzione: in sede arrivavano soltanto i pezzi finiti della collezione, realizzati in studio dagli ideatori.

Alcune poltrone come Fischer, Cesto e Triangolo concentravano le proprie forme sulla ripetizione delle figure geometriche basilari; altre, come Napoleone e Antiquariato, assumevano un andamento curvilineo e sinuoso. Con il letto e il divano si assisteva ad una differenziazione all’interno della collezione. Essi necessitavano per il proprio uso di un rivestimento, materasso o cuscini, che in diversa misura poteva snaturare l’essenza della serie. L’orditura artigianale non era più manifesta: la caratterizzazione dell’oggetto non passava attraverso la chiarezza della struttura di sostegno e dell’estetica del nylon. La materia plastica veniva riconsegnata unicamente al suo ruolo originario di supporto. Anche in questi casi non veniva meno la funzionalità dell’oggetto, che offriva un sostegno ugualmente confortevole e con qualità differenti dagli standard in legno o in metallo.


L’unicità del nylon

Seppur con variazioni formali, i modelli della collezione erano mossi dalla medesima ispirazione: l’esempio creativo delle bolle di sapone. Gli studi del gruppo si rivolsero alle forme assunte dalle bolle di sapone tese all’interno di un perimetro chiuso tridimensionale, in questo caso un modellino in sottile filo metallico che riproduceva la forma scelta per l’oggetto. L’immagine della membrana di sapone veniva, dunque, in un secondo momento, ricreata nell’intreccio di nylon, il materiale più adeguato per resistenza e flessibilità. Il riferimento è allo studio delle superfici minime, necessarie nel disegno delle membrane e delle tensostrutture, leggere strutture a fili tesi come le Monofilo. In tal senso questi oggetti, per impostazione strutturale e costruttiva, possono essere letti anche come un’originale ed unica interpretazione in scala ridotta dell’architettura tensile che, proprio nei primi anni Sessanta, riceveva nuovi impulsi grazie alla fondazione dell’Istituto per le Strutture Leggere a Stoccarda, non lontano dalla Hochschule für Gestaltung di Ulm frequentata da Grassi.

L’uso del nylon fu, dunque, la risposta innovativa sia dell’applicazione dei metodi delle tensostrutture sia dei riferimenti del design americano. Si pensi a Charles Eames e ai reticolati metallici di Wire Mesh Chair o alla poltrona Diamond di Harry Bertoia, con cui le Monofilo condividono la medesima sensibilità tridimensionale. La collezione apre, infatti, alla stessa consistenza spaziale, dove le forme organiche ed ergonomiche dei modelli si ridefiniscono ad ogni variazione percettiva. Molto del design degli anni successivi, dalle sedute – sedia e poltroncina – Spaghetti di Giandomenico Belotti e a quello più attuale della serie Tropicalia di Patricia Urquiola, si è concentrato sempre sull’intreccio del materiale plastico, protagonista e non accessorio nell’oggetto, a testimoniare l’attualità delle Monofilo.


Ricezione e mostre dall’ideazione ad oggi

Per quanto riguarda la diffusione e la ricezione dei modelli Monofilo bisogna sottolineare come questa non sia stata immediata ma cronologicamente spostata verso gli anni Ottanta. La forza innovatrice del lavoro di Grassi non ebbe, infatti, particolare risonanza negli anni coevi all’elaborazione del progetto. Ad eccezione della rassegna fiorentina dell’artigianato, del Premio Compasso d’Oro e delle Triennali milanesi, e della presenza di Antiquariato nello stand-giardino di Pietro Porcinai all’esposizione Antiquariato nella casa moderna di Palazzo Strozzi del 1962, tutti gli altri riferimenti bibliografici ed espositivi che riguardano la collezione, sono collocati cronologicamente fra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, come ad esempio i numerosi articoli su "Casa Vogue", "Ville e Giardini", "Interni" e "Casabella", dove comparivano gli oggetti in nylon all’interno di abitazioni restaurate. L’ambiente milanese aprì una via per la maggiore circolazione degli oggetti in nylon. Nel 1977, Farfalla e Artigianato fecero parte della mostra milanese, organizzata dal Centrokappa dedicata al design degli anni Cinquanta.

All’inizio del decennio successivo alcuni pezzi catturarono l’attenzione di Rossella Colombari, fondatrice dell’omonima galleria, che acquistò circa una ventina di Monofilo, tutti originali degli anni Cinquanta. Questo promosse una certa visibilità oltre i confini locali grazie al loro inserimento nel circuito delle Case d’asta e alla corrispettiva diffusione fra i privati.
Sempre a Milano, nel 2002, un’altra galleria, la Consadori, dedicò una piccola sezione dei suoi interni ad alcuni esemplari della collezione, con l’esposizione Luciano Grassi - Strutture Monofilo.

La chiusura che ha caratterizzato, talvolta, il raffinato ambiente fiorentino, o la posizione defilata di Grassi rispetto al contesto locale, concentrato su progetti strettamente architettonici, dove la libera professione, al di fuori dell’ambito universitario, era spesso considerata un’attività secondaria, unita all’ufficializzazione degli studi in Germania e non alla Facoltà di Architettura fiorentina, potrebbero essere alcuni dei motivi che contribuirono ad una tardiva ricezione delle Monofilo. Inoltre, sia per le Monofilo che per altri progetti, il nome di Grassi risultava sempre affiancato ad altri, da Sergio Conti a Lisindo Baldassini, soluzione necessaria per svolgere la sua attività vista la mancanza di un titolo specifico di Grassi. Una ricezione tardiva ed in ottica collezionistica come fenomeno di modernariato, molta confusione sui modelli, come si evince da alcuni errori su articoli e testi, culminarono in un episodio di plagio smascherato da Giuseppe Chigiotti nel 1983 sulle pagine di "Ottagono" approfondimento.
Nel 1982 i progettisti Giuseppe Tagliabue e Giancarlo Realini vinsero il concorso L’imbottito degli anni Ottanta con la poltrona Richard, uguale, se non per il nome, ad Antiquariato.

Quest’ultimo pezzo è forse il più noto della produzione. Una sua versione con i giunti sferici venne acquistato dallo scultore britannico Henry Moore nel 1977 ed è forse il pezzo più esposto: è stato esposto nella già citata mostra del ‘62, nella milanese Camera con vista, arte e interni in Italia nel 2007, nella mostra itinerante internazionale Il modo Italiano dello stesso anno, fino al 2011 in un parallelo inedito con un sandalo in filo di nylon intrecciato a Salvatore Ferragamo: Ispirazioni e visioni. Ad oggi molti esemplari Monofilo occupano le sale di numerose gallerie, collezioni private e musei: Farfalla e Artigianato al Vitra Design Museum di Weil am Rheim, Napoleone e Antiquariato nel milanese Museo della Triennale, mentre al Museo del Design Industriale di Calenzano sono esposte Triangolo e Cesto. La realizzazione delle Monofilo non si è mai confrontata con un tipo di produzione industriale, aspetto che costituisce certamente un limite e una peculiarità al contempo, che non ha incentivato la diffusione e gli sviluppi della collezione ma che ha ugualmente reso questi oggetti esempi dell’innovazione degli anni Cinquanta e Sessanta.


Il testo e le immagini riportati sono parzialmete tratti dalla tesi di laurea di Paola Baldassini, «Luciano Grassi e il design. La collezione monofilo», discussa 1 marzo 2012 (relatrice Prof.ssa Dora Liscia, correlatore Prof. Massimo Ruffilli) presso l'Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte ex 270, Università degli Studi di Firenze.


Luciano GrassiLuciano Grassi. (Firenze, 1927-2008) Ha studiato architettura a Firenze frequentando contemporaneamente la Hochschule für Gestaltung di Ulm. Ha partecipato a numerosi concorsi di progettazione del tessuto urbano: S. Frediano - Firenze (III premio), Campo di Marte - Firenze (I premio ex aequo), Berlino ricostruzione (IV premio), Les Halles - Parigi (progetto selezionato). Con altri professionisti ha operato nella ristrutturazione di antichi edifici e torri medioevali. Ha condotto ricerche nel campo delle tensostrutture e dell'high tech: la sua linea di sedute in nylon è segnalata nel 1955 al Compasso d'Oro. Da sempre interessato al design, ha ottenuto molte segnalazioni e premi anche a livello internazionale, dove opera realizzando prototipi di strumenti per l'abitare e di strutture effimere. Ha curato l'immagine di aziende della moda e allestito stand in fiere internazionali. Le sue opere sono state pubblicate su Casa Vogue, Abitare, La mia Casa, Interni, Ville e Giardini e su riviste internazionali – americane e giapponesi. È presente nella Collezione permanente del Design Italiano (1945/90). Nel 1984 è stato fra i curatori del volume Omnibook.

Paola BaldassiniPaola Baldassini. (La Spezia, 1983) Appassionata d'arte decide di frequentare l'ateneo fiorentino, dapprima intraprende studi a carattere museografico e si laurea in Triennale, nel 2007, con una tesi sperimentale dal titolo La cultura degli anni Cinquanta e Sessanta nella città di Genova e nel Museo di arte contemporanea di Villa Croce, correlata dall'architetto Alessandro Coppellotti.
Negli anni della Laurea Magistrale si orienta verso studi di Design,in particolare di ambito fiorentino e toscano.
Conclude a pieni voti il percorso di studi con una tesi sulla collezione Monofilo di Luciano Grassi correlata dalla Professoressa Dora Liscia.


testo: 
Paola Baldassini 

I.

II.
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XIII.

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